RSSCategory: a) C.g.a.

RIFIUTI ABBANDONATI – ordinanza del C.G.A. 17 marzo 2016, pres. Zucchelli, est. Simonetti sull’ordinanza sindacale di rimozione

ordinanza del C.G.A. 17 marzo 2016, n. 185, pres. Zucchelli, est. Simonetti

Ambiente – rifiuti – ordinanza di rimozione.

In materia di rifiuti abbandonati il C.G.A. – confermando la pronuncia cautelare di primo grado – ha ritenuto che gravano sul privato – quantomeno fino alla definizione nel merito della controversia – le spese da affrontare per l’esecuzione dell’ordinanza sindacale di rimozione e smaltimento, sostenendo che, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, il pregiudizio allegato dal ricorrente – nel caso di specie in modo generico – sia recessivo, tenuto conto che tali spese sono suscettibili di ristoro economico.

 

10 Maggio 2016 | By More

UBICAZIONE DELLE NUOVE SEDI FARMACEUTICHE ISTITUITE IN FORZA DEL D.L. 1/2012 (MONTI) – C.G.A. 21.3.2016 – Sulla sindacabilità delle scelte del Comune in tema di istituzione di nuove sedi farmaceutiche

La sentenza prende posizione sulla sindacabilità delle scelte del Comune in tema di istituzione di nuove sedi farmaceutiche ai sensi del d.l. 1/2012. 

C.G.A. 21.3.2016, n. 72, sentenza, pres. De Lipsis, rel. Neri. Conferma Tar Palermo 2340/2013.

1. Farmacie – Istituite in esecuzione dell’art. 11 d.l. 1/2012 (Monti).

1. L’art. 11, d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, pur stabilendo i criteri che l’amministrazione deve rispettare, lascia all’ente ampia discrezionalità nell’individuare l’ubicazione delle nuove sedi farmaceutiche. La giurisprudenza infatti ha affermato che in sede di istituzione di nuove farmacie, ai sensi della detta disposizione la scelta dell'ubicazione delle nuove sedi e la perimetrazione della zona di competenza sono ampiamente discrezionali e sindacabili solo per manifesta illogicità o irrazionalità, travisamento di fatti e analoghi vizi (Consiglio di Stato, sez. III, 31 dicembre 2015 n. 5884). Infatti, le scelte discrezionali, comprese quelle di natura squisitamente tecniche, operate dalla p.a., impingendo nel merito dell'azione amministrativa, sfuggono al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non siano macroscopicamente – "ictu oculi" – irragionevoli, illogiche, irrazionali ovvero viziate da un palese travisamento dei fatti (Consiglio di Stato, sez. V, 8 aprile 2014 n. 1662). (Nel caso di specie il CGA conferma il rigetto del ricorso di primo grado promosso lamentando una eccessiva concentrazione del centro storico). 

Nota

Per un caso di annullamento della localizzazione della nuova sede farmaceutica disposta dal Comune in base allo stesso d.l. 1/2012, si veda T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 15-10-2015, n. 2184, che ha accolto il ricorso con cui si lamentava eccesso di potere per manifesta irragionevolezza nella individuazione di una sede farmaceutica localizzata nel territorio del Comune resistente.

15 Aprile 2016 | By More

ATTENZIONE AL DIES A QUO per la proposizione dei motivi aggiunti.

C.G.A. 6 aprile 2016, n. 75, pres. Lipari, est. Modica de Mohac – Sentenza

1.Processo amministrativo – Motivi aggiunti – Termine – Decorrenza – Dalla data in cui l’accesso è stato consentito per la prima volta

2.Processo amministrativo – Motivi aggiunti – Termine – Decorrenza – Slittamento per il tempo necessario ad acquisire la piena conoscenza del contenuto.

 

1.In conformità a noti principi giurisprudenziali (cfr. C.S., III^, 28.8.2014 n.4432),il termine per la proposizione del ricorso per motivi aggiunti dev’essere fatto decorrere non già (e non certo) dalla data in cui l’interessato ha ‘finalmente’ deciso di acquisire materialmente i documenti in questione (pur se gli stessi erano già giuridicamente disponibili, ed erano stati posti a sua disposizione, da tempo anteriore), ma dalla data in cui il diritto di accesso è stato consentito per la prima volta; o, al più, dalla data in cui lo ha, per la prima volta, esercitato. Da quel momento, infatti, gli atti – resi ostensibili – sono divenuti per esso concretamente conoscibili (C.S., V, 14.5.2013 n. 2614); e fin da quel momento deve presumersi che siano stati da Essa conosciuti (sussistendo il principio secondo cui grava comunque sull’interessato, ed esclusivamente su di esso, l’onere di attivarsi per acquisire i documenti posti a sua disposizione a seguito di istanza di accesso accolta).

2.Il termine per proporre ricorso va “incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto che si ritenga leso dall’aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell’atto e dei relativi profili di illegittimità …” (principio formulato, com’è noto, da C.S., III, 28.8.2014 n.4432, in seguito alla decisione della Corte di Giustizia CE, V, 8.5.2014 in causa C-161/13, ed in aderenza alle ‘preoccupazioni’ espresse dalla VI^ Sezione del Consiglio di Stato nell’ordinanza n.790 dell’11.2.2013 di rimessione all’Adunanza Plenaria e da quest’ultima condivise nella decisione n.14 del 20.5.2013).

13 Aprile 2016 | By More

SULLA POSSIBILITA’ O MENO DI REVOCA PUBBLICISTICA DOPO LA STIPULA DEL CONTRATTO –  C.G.A. 17.3.2016, sentenza, Pres. Zucchelli, est. Simonetti

 C.G.A. 17.3.2016 N. 69, sentenza, Pres. Zucchelli, est. Simonetti. (conferma Tar Catania, IV, n. 1662/2015)

1. Contratti – Aggiudicazione – Annullamento giurisdizionale – Mancanza di domanda sulle sorti del contratto – Impossibilità di revoca pubblicistica (A.P. 14/2014).

1. Il recente insegnamento dell’Adunanza Plenaria n. 14/2014 ha escluso che dopo la stipula dell’appalto le pubbliche amministrazioni possano ancora utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca, potendo invece recedere dal contratto ai sensi dell’art. 134 del d.lgs. 163/2006; oltre che, più in generale, il principio cardine dell’art. 1372 c.c. per il quale “il contratto ha forza di legge tra le parti”. Ad. Pl. 20.6.2014, n. 14. Il potere di revoca dell'aggiudicazione non può essere esercitato dalla p.a. una volta intervenuta la stipula del contratto di appalto, che chiude la fase pubblicistica ed apre quella negoziale, caratterizzata da tendenziale parità tra le parti. Di conseguenza, negli appalti di lavori pubblici, in caso di sopravvenuti motivi di opportunità, la p.a. può recedere dal contratto, secondo la speciale previsione di cui all'art. 134 del codice degli appalti, con le conseguenze indennitarie ivi previste.

11 Aprile 2016 | By More

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – PERENZIONE – Opposizione – Mancanza della sottoscrizione della parte – In presenza di mandato a margine – CGA 20.11.2015 n 660 (riforma Tar Catania, II, ordinanza n. 1095/2015).

Il C.g.a. salva l’opposizione non sottoscritta dalla parte ma recante la procura a margine.
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Motivazione.
considerato che, con ordinanza 22 aprile 2015 numero 1095, il Tar ha respinto l’opposizione proposta avverso il decreto di perenzione emanato nel ricorso 2117/1991 proposto innanzi al Tar;
considerato che il rigetto è stato motivato in considerazione del fatto che “l’opposizione proposta non è stata sottoscritta anche dalle parti personalmente, come viceversa previsto dall’articolo 1, comma 2, dell’allegato 3 del c.p.a.”;
considerato che questo Consiglio, con ordinanza 25 luglio 2014 n. 457, ha così deciso in fattispecie analoga:« Contro tale atto di opposizione viene invocata dalla Difesa erariale la violazione del disposto dell’art. 1.1 dell’allegato 3 al cpa, per mancata sottoscrizione personale della parte. L’eccezione va disattesa. L’atto in questione presenta infatti – a margine – la sottoscrizione delle parti per la nomina ed il conferimento della procura al loro difensore, che – nello stesso atto – sottoscrive personalmente l’opposizione. Tale atto, unico e redatto in termini da rendere evidente il proprio immediato contenuto, appare dunque tale da lasciare emergere con evidenza la piena consapevolezza, da parte dei conferenti la nomina del difensore e la procura allo stesso, della sua specifica destinazione, sicché la mancata sottoscrizione in calce non può considerarsi elemento sufficiente a privare di efficacia l’atto medesimo anche allo scopo della opposizione al decreto di perenzione, in considerazione della comunque presente sottoscrizione a margine e della conseguente inequivoca diretta volontà dei sottoscrittori di proporre opposizione a tale decreto»;
considerato che il Consiglio non ravvisa ragioni per discostarsi dal precedente ora citato;
considerato pertanto che l’appello deve essere accolto e che, per l’effetto, l’ordinanza impugnata va riformata;

4 Dicembre 2015 | By More

PROFESSIONI – AVVOCATO – Esami di abilitazione – “Giudizi negativi di confine” – CGA 20.11.2015 N. 660 pres. Lipari, est. Corbino (riforma Tar Palermo, III, ordinanza996/2015).

Occorre una trasparente giustificazione dei “giudizi negativi di confine”.
Motivazione.
Ritenuto che le censure proposte appaiono – ancorchè ad una sommaria cognizione – sostenute da profili di fumus boni iuris, con riferimento in particolare alla mancanza di elementi che consentano di dare trasparente giustificazione di giudizi negativi “di confine”, quali devono ritenersi quelli espressi come nel caso, da una valutazione numerica di poco al di sotto di quella minima sufficiente;
Ritenuto che sussistono i profili di periculum prospettati
P.Q.M. Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, accoglie l’appello cautelare e, per l’effetto, dispone la ricorrezione – da eseguirsi entro 90 giorni dalla notificazione della presente ordinanza – degli elaborati, ai quali sia stato attribuito un giudizio di insufficienza, da parte di una nuova sottocommissione. Allo scopo, i compiti da riesaminare (in fotocopia nella quale saranno resi illeggibili segni e giudizi eventualmente presenti) saranno fatti pervenire a tale nuova sottocommissione in plichi anonimi (uno per ciascuno dei candidati le cui prove sono oggetto del riesame). In ciascun plico andranno inseriti, insieme ai compiti del candidato in questione, 4 ulteriori compiti relativi a ciascuna delle medesime prove di esame da rivalutare, metà dei quali estratti a sorte tra quelli giudicati sufficienti (con voto perciò di 30) e metà dei quali estratti a sorte tra quelli giudicati con votazione nel minimo insufficiente, ma di almeno 25. La commissione esprimerà su tutti i compiti inclusi in ciascun plico ad essa trasmesso il proprio motivato giudizio di sufficienza o insufficienza.
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4 Dicembre 2015 | By More

PROCESSO AMMINISTRATIVO – VERIFICAZIONE – Comunicazione della bozza di relazione – CGA ordinanza 18.11.2015 n. 655, pres. de Francisco, rel. Neri.

Il CGA per la verificazione di cui all’art. 66 c.p.a. fissa l’obbligo di comunicazione della bozza di relazione con possibilità per le parti di presentare osservazioni in via preventiva, facendo applicazione analogica di quanto previsto per la c.t.u. dall’art. 67 c.p.a..
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Motivazione.
considerato che effettivamente le operazioni peritali risultano di particolare complessità per cui va accordata la proroga richiesta sino al 20 dicembre 2015;
considerato che per la migliore prosecuzione del giudizio vanno fissati i seguenti termini:
a) 30 novembre 2015 per la comunicazione alle parti della bozza di relazione ad opera del verificatore;
b) 10 dicembre 2015 per le osservazioni delle parti alla bozza di relazione predisposta dal verificatore;
c) 20 dicembre 2015 per il deposito della relazione finale sulla verificazione, delle osservazioni prodotte dalle parti e di una sintetica relazione sulle stesse (articoli 39 e 66 c.p.a nonchè 195 c.p.c.);.
Considerato che deve essere fissata l’udienza pubblica del 3 febbraio 2016 per la decisione del merito;

4 Dicembre 2015 | By More

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – SINTETICITA’ DEGLI ATTI – CGA ordinanza 20.11.2015 n. 657, pres. Lipari, est. Neri.

Un ricorso di 74 pagine, ritenuto “palesemente non proporzionato alla complessità della causa”, deve essere sintetizzato in 20.
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Motivazione.
considerato altresì che il dovere di chiarezza e sinteticità degli atti è sancito agli artt. 3, comma 2, e 26, comma 1, c.p.a. e che, oltre ad essere condiviso dalla giurisprudenza amministrativa (C.G.A. 19 aprile 2012 n. 395), è stato di recente affermato pure dalle sezioni unite della Corte di Cassazione (Cass., S.U., 11 aprile 2012 n. 5698);
considerato che il predetto dovere di chiarezza e sinteticità degli atti risponde anche ad esigenze avvertite in sede sovranazionale, così come dimostrato dalle «Istruzioni pratiche alle parti relative ai ricorsi diretti e alle impugnazioni» redatto in ambito europeo dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea;
considerato che il presente appello consta, escluse le relate di notifica in calce all’atto, di settantaquattro pagine;
considerato che non può essere considerata riepilogativa delle censure l’ulteriore memoria prodotta in data 13 novembre 2014;
considerato che l’atto di appello appare palesemente non proporzionato al livello di complessità della causa;
considerato che possono anche profilarsi ragioni di inammissibilità del ricorso quando si contravviene alla regola dell’immediato coordinamento tra la decisione impugnata e i motivi di censura (Cass., S.U., 17 luglio 2009 n. 16228);
considerato dunque che per la decisione dell’impugnazione (e il rispetto anche da parte di questo Consiglio del dovere di chiarezza e sinteticità di cui al citato art. 3, comma 2, c.p.a.) parte appellante va invitata a produrre una memoria riepilogativa – che contenga l’esposizione chiara, sintetica ed omnicomprensiva di tutte le censure già proposte nel presente giudizio di impugnazione – alla quale fare riferimento per la decisione del presente giudizio cautelare;
considerato che tale memoria dovrà orientativamente essere:
– di non oltre venti pagine per un massimo di venticinque righi per pagina;
– su formato A4;
– facilmente leggibile e redatta solo su una faccia della pagina («recto» e non «recto verso»);
– con testo scritto in caratteri di tipo corrente nonché con interlinee e margini adeguati;

4 Dicembre 2015 | By More

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – APPELLO – Questione di giurisdizione – Sollevata per la prima volta in secondo grado da parte di chi in primo grado aveva sostenuto la giurisdizione amministrativa – Abuso del diritto – Dubbio – Deferimento all’Adunanza plenaria – CGA ordinanza 22.10.2015 n. 634, Pres. De Lipsis, est. Anastasi.

Il CGA ipotizza che il mezzo col quale l’appellante incidentale – dopo aver in primo grado affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa – deduce invece che la controversia all’esame è devoluta alla giurisdizione del giudice civile sarebbe da ritenere ammissibile e pertanto deferisce la questione all’Adunanza plenaria.
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Motivazione.
5. Come è noto, l’applicazione ad opera della giurisprudenza dell’art. 37 cod. proc. civ. ( secondo cui il difetto di giurisdizione è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo) ha subito nel tempo una profonda evoluzione in senso sostanzialmente restrittivo.
In tal senso, la Corte regolatrice fino dalla metà degli anni settanta ha rilevato la necessità di coordinare i principi sulla rilevabilità d'ufficio del difetto di giurisdizione con quelli che disciplinano il sistema delle impugnazioni statuendo che, ove il giudice di primo grado abbia espressamente statuito sulla giurisdizione, il riesame della questione da parte del giudice di secondo grado postula che essa sia riproposta con il mezzo di gravame ostandovi, altrimenti, la formazione del giudicato interno. ( ad es. SS.UU. n. 1506 del 1976).
Successivamente la stessa Suprema Corte è pervenuta ad escludere il rilievo d’ufficio del difetto di giurisdizione da parte del giudice dell’impugnazione quando il giudice di primo grado abbia statuito in forma implicita sulla giurisdizione attraverso l'adozione di una pronuncia di merito o di carattere processuale che non avrebbe, però, potuto essere adottata se non da un organo provvisto di potestà giurisdizionale. ( ad es. SS.UU. n. 24883 del 2008).
La giurisprudenza del Consiglio di Stato, per parte sua, sembra aver seguito sull’argomento un percorso differente.
In particolare – a prescindere da quegli indirizzi che sino ad epoca non lontana hanno privilegiato una interpretazione letterale dell’art. 37 cod. proc. civ. e della corrispondente norma contenuta nell’art 30 comma 1 della legge n. 1034 del 1971: cfr ad es. V Sez. n. 8083 del 2004 – negli orientamenti maggioritari la regola degli effetti preclusivi derivanti dal giudicato implicito sulla giurisdizione ha stentato ad essere condivisa. ( cfr. per tutte V Sez. n. 5479 del 2008).
Come è noto, la questione è stata poi positivamente risolta con l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo il cui art. 9 comma 1 prevede che “ Il difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche d’ufficio. Nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della sentenza impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione”.
Come è evidente, il percorso evolutivo di cui si è dato sinteticamente conto ha portato a prevalere – rispetto all’originaria idea della giurisdizione come espressione inderogabile della sovranità statale – i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo (asse portante della nuova lettura della norma), della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell'affievolirsi dell'idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. ( cfr. in tal senso SS.UU. n. 28545 del 2008).
6. In analoga prospettiva si è da ultimo affermato, nell’ambito della giurisprudenza del Consiglio di Stato, un ormai maggioritario orientamento in sostanza volto a stigmatizzare l’utilizzo potenzialmente strumentale delle questioni di giurisdizione.
In proposito è stato chiarito che il divieto di abuso del diritto, in quanto espressione di un principio generale che si riallaccia al canone costituzionale di solidarietà, si applica anche in ambito processuale, con la conseguenza che ogni soggetto di diritto non può esercitare un'azione con modalità tali da implicare un aggravio della sfera della controparte, sì che diviene anche divieto di abuso del processo; pertanto, integra abuso del processo la contestazione della giurisdizione da parte del soggetto che abbia optato per quella giurisdizione e che, pur se soccombente nel merito, sia risultato vittorioso, in forza di una pronuncia esplicita o di una statuizione implicita, proprio sulla questione della giurisdizione, con la conseguenza che in definitiva, la sollevazione della detta auto-eccezione in sede di appello, per un verso, integra trasgressione del divieto di venire contra factum proprium (paralizzabile con l'exceptio doli generalis seu presentis) e, per altro verso, arreca un irragionevole sacrificio alla controparte, costretta a difendersi nell'ambito del giudizio da incardinare innanzi al nuovo giudice in ipotesi provvisto di giurisdizione, adito secondo le regole in tema di translatio iudicii dettate dall'art. 11 Cod. proc. amm. ( così V Sez. n. 656 del 2012. Cfr. anche VI Sez. n. 1537 del 2011, VI Sez. n. 703 del 2013, III Sez. n. 1630 del 2014, V Sez. n. 1605 del 2015 e VI Sez. n. 1778 del 2015).
Al riguardo il Collegio osserva che tale impostazione ( benchè elaborata in relazione alla posizione del ricorrente principale) si attaglia anche al caso qui in esame in cui il ricorrente incidentale, in primo grado, ha affermato la sussistenza di quella giurisdizione amministrativa che ora, in appello, tra l’altro dopo essere risultato vincitore nel merito, nega venendo appunto contro il fatto proprio.
In sostanza, applicando il richiamato orientamento, anche il ricorrente incidentale – nella misura in cui sceglie di articolare domande ( art. 42 cod. proc. amm.) di accertamento pregiudiziale volte comunque ad ottenere una pronuncia che precluda l'esame del merito del ricorso principale – incorre in un abuso se non versa lealmente e da subito l'intero arco delle eccezioni in grado di paralizzare l'iniziativa avversaria.
Tanto premesso, il Collegio osserva tuttavia in radice che l’impostazione di cui si è detto, ancorchè mossa da criteri ispiratori del tutto condivisibili, non sembra in realtà praticabile alla luce delle considerazioni che seguono.
In primo luogo, occorre chiarire che, diversamente da come sembra sostenere l’appellante, la deduzione per la prima volta in appello della questione di giurisdizione non costituisce una novità vietata – di per sè – dalla legge processuale.
Infatti quando l’art. 345 secondo comma cod. proc. civ. e l’art. 104 cod. proc. amm. vietano di proporre in appello eccezioni nuove rispetto a quelle versate in primo grado il riferimento è alle eccezioni c.d. in senso proprio e stretto, e cioè alle eccezioni (tra l’altro, di merito) che possono essere proposte solo dalle parti al fine di contrastare la domanda avversaria mediante l’allegazione di fatti impeditivi modificativi o estintivi.
Dal momento che invece il difetto di giurisdizione in primo grado è rilevabile d’ufficio, ne consegue – sotto lo specifico profilo ora in rassegna – che non viola il divieto di novità la parte la quale impugni la sentenza di primo grado per il difetto di giurisdizione, ancorchè non lo abbia appunto “eccepito” in prime cure.
Tanto premesso sul piano per così dire tecnico e venendo al tema nodale, non sembra che la nozione di abuso del diritto in sede processuale possa essere ricostruita partendo dalla violazione del dovere generale – che l’art. 88 comma primo cod. proc. civ. impone alle parti e ai loro difensori – di comportarsi in giudizio con lealtà e probità.
La violazione di questo preciso dovere giuridico al rispetto delle regole del gioco infatti può dare luogo soltanto a sanzioni ( ad es. non rimborso spese superflue: art. 92 cod. proc. civ.) o a valutazioni negative del comportamento tenuto dalle parti ( ad es. art. 116 secondo comma) ma non alla nullità/inammissibilità di atti di parte conformi allo schema processuale.
In realtà, in sede processuale il vero caso in cui l’abuso del diritto ( e cioè secondo la migliore dottrina l’agire perseguendo uno scopo diverso dalla funzione obiettiva per la quale la legge ha configurato l’istituto) è espressamente disciplinato è quello della lite temeraria ex art. 96 cod. proc. civ., sanzionata ( in sintesi) imponendo al soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave l’integrale risarcimento dei danni subiti dalla controparte.
Ora – anche a prescindere dal fatto che le norme in questione danno luogo soltanto a responsabilità risarcitoria aggravata – appare evidente da un lato che ex art. 96 la soccombenza è presupposto essenziale della responsabilità aggravata, la quale non può essere mai pronunciata a carico della parte vittoriosa; dall’altro che conseguentemente l’eventuale abuso nel disegno codicistico non può ontologicamente essere sanzionato ex ante con la declaratoria di inammissibilità della relativa domanda.
In realtà dunque un abuso del processo ( ostativo all’esame della domanda) non può essere configurato sulla base delle norme di rito, bensì soltanto proiettando sul campo processuale quelle regole contrattuali di buona fede e correttezza in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. siccome tendenti a comprendere nella funzione del rapporto obbligatorio pure la tutela della controparte, nel perseguimento di un giusto equilibrio tra gli opposti interessi. ( cfr. SS.UU. n. 23726 del 2007 in tema di frazionamento di un credito unitario nonchè ad es. III Sez. n. 8576 del 2013 in tema di frazionamento dell’esecuzione).
Ma, chiaramente, nel caso delle questioni in esame non sembra potersi predicare l’estensione dell’operatività di un principio di buona fede sostanziale e negoziale.
Il vero è, in conclusione, che nel diritto positivo l’unico caso in cui la questione di giurisdizione può ritenersi preclusa e’ il caso in cui sulla stessa si sia formato il giudicato implicito o esplicito.
Ne consegue – come insegna la Suprema Corte – che qualora chi agisce in giudizio, dopo avere adito un giudice, ne eccepisca in appello il difetto di giurisdizione, e’ legittimato a farlo; infatti, tale eccezione non può ritenersi preclusa per carenza di interesse per il solo fatto di avere adito un giudice, che lo stesso attore ritiene successivamente privo di giurisdizione, atteso che una simile decisione si porrebbe in contrasto con il fondamentale principio di cui all’art. 25 Cost., secondo cui nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.” ( cfr. SS.UU. n. 26129 del 2010).
Ancor più recisamente la Corte nega che “a rendere non conoscibile la questione di giurisdizione, sia predicabile – accanto al sistema della preclusione per mancata deduzione con appello (anche incidentale) – l'operatività di una clausola di divieto di "abuso" ostativa alla denunzia per chi abbia adito il giudice la cui giurisdizione vorrebbe poi contestare. Queste Sezioni Unite hanno ripetutamente affermato che sia proponibile la questione di (difetto di) giurisdizione (del giudice amministrativo) – sollevata in sede di impugnazione della decisione del TAR – anche da parte di chi abbia invocato la giurisdizione di quel giudice amministrativo e poi sia risultato, nel merito, soccombente in esito a quel giudizio, posto che l'unica preclusione configurabile alla stregua del vigente quadro normativo, ed esplicitata nell'art. 9 del vigente C.P.A., è quella derivante dalla formazione del giudicato implicito nella non impugnata decisione di merito” ( così SS.UU. n. 1006 del 2014. Cfr. pure SS.UU. n. 7097 del 2011 e n. 1006 del 2014).
Alla stregua di quanto sin qui osservato il Collegio ritiene che il mezzo col quale l’appellante incidentale – dopo aver in primo grado affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa – deduce invece oggi che la controversia all’esame è devoluta alla giurisdizione del giudice civile sarebbe da ritenere ammissibile.
Visto il possibile insorgere di un contrasto giurisprudenziale, l’esame della relativa questione è deferito all’Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 99 cod. proc. amm..

4 Dicembre 2015 | By More

NOTIFICA VIA PEC – Nel giudizio amministrativo.

Con una recentissima sentenza Il CGA ritiene valida la notifica via PEC nel giudizio amministrativo.

17 Luglio 2015 | By More