RSSCategory: Ragionevole durata del processo (L. 89/2001)

LA MANCATA PRODUZIONE DELLA DICHIARAZIONE EX ART. 5-SEXIES LEGGE 24 MARZO 2001, N. 89 INSERITO DALLA L. 208/2015 NON COMPORTA IMPROCEDIBILITÀ DEL RICORSO INTROITATO PRIMA DELL’1 GENNAIO 2016, MA CONDITIO JURIS PER IL SUCCESSIVO PAGAMENTO DA PARTE DELLA P.A. –Tar Catania, sez. IV, 28.11.2016, n. 3095, pres. Pennetti, est. Cumin

Legge Pinto – Ottemperanza procedibilità

Sono a tutti ben chiare le finalità che, in questi anni, hanno guidato il Legislatore nelle modifiche apportate alla legge 24 marzo 2001, n. 89, meglio nota come legge Pinto: arginare la mole di condanne che, a centinaia, stavano sommergendo il Ministero della Giustizia ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, rispettivamente, per l’eccessiva durata delle controversie pendenti dinanzi all’Autorità Giudiziaria Ordinaria o al Giudice Amministrativo, così come a decine di migliaia le analoghe richieste alla CEDU avevano ingolfato gli archivi di Bruxelles Le novelle, alcune delle quali già passate sotto la mannaia della Corte Costituzionale che – per buona sorte – ha fatto giustizia di alcune fantasiose disposizioni legislative, si sono spinte anche ad inserire ulteriori periodi di grazia alla P.A. condannata all’esborso di somme a titolo di indennizzo per eccessiva durata dei processi. Nello specifico, l’art. 5-sexies, inserito dalla Legge di stabilità 2016, ha subordinato il pagamento di detto indennizzo alla presentazione di una dichiarazione attestante “la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo, l’esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito, l’ammontare degli importi che l’amministrazione è ancora tenuta a corrispondere, la modalità di riscossione”. L’esecuzione di una pronunzia inoppugnabile di un Giudice è stata, quindi, posta sotto la condizione del rispetto di una serie di oneri per il cittadino/creditore, chiamato a dichiarare dati perfettamente recepibili dalla sentenza di condanna e, addirittura, a rinnovare tale dichiarazione “a richiesta della pubblica amministrazione” trascorsi sei mesi dalla sua produzione. In altre parole, la P.A. debitrice (giusta condanna giudiziale) ha il diritto di non soddisfare il credito se non riceve detta dichiarazione; inoltre, ove ritardi ad ottemperare e lasci trascorrere più di sei mesi, ha il diritto di onerare il creditore di doverla nuovamente riprodurre. Ma vi è di più! Prima dello spirare dei sei mesi, il cittadino creditore non può “procedere all’esecuzione forzata, alla notifica dell’atto di precetto, né proporre ricorso per l’ottemperanza del provvedimento”. L’ordinario termine dilatorio di 120 giorni, previsto dall’art. 14, 1° comma, del D.L. n. 669/1996 (convertito dalla Legge 28 febbraio 1997, n. 30 e modificato dall’art. 147 della Legge n. 388/2000), è qui sostituito dal termine di sei mesi, condizionati a loro volta dall’invio della dichiarazione e della documentazione richiesta. Senza voler analizzare il contenuto (e la costituzionalità) di tale previsione legislativa, che ha avuto l’indubbio “merito” di subordinare l’esecuzione di una sentenza alla produzione di una dichiarazione di parte ed al trascorrere di un lasso di tempo, dinanzi al G.A. si è posto il problema dei ricorsi per l’ottemperanza incardinati prima dell’entrata in vigore della Legge di stabilità 2016, rispetto ai quali – al momento del deposito – non era prevista la presentazione della dichiarazione di cui all’attuale articolo 5-sexies. Il TAR Catania è stato, in tal senso, protagonista di una serie di interessanti interpretazioni, e di un altrettanto interessante evoluzione giurisprudenziale. In un primo tempo, infatti, i Giudici del TAR catanese, in caso di mancato assolvimento da parte del ricorrente degli obblighi previsti dall’art. 5 sexies della Legge Pinto, hanno disposto la fissazione una nuova camera di consiglio. Il Collegio, non senza sottolineare che il quibus nasceva proprio dall’assenza di una disciplina transitoria, ha affermato che in ragione di tali modifiche legislative, seppur sopravvenute rispetto al tempo della proposizione del ricorso, la possibilità di procedere allo scrutinio nel merito della domanda risultava condizionata dal compimento dei sopraccitati obblighi. Al ricorrente, perciò, è stato consentito di procedere ad una integrazione della documentazione agli atti. Ed invero, il rinvio della camera di consiglio è stato giustificato al fine di “consentire al ricorrente di assolvere ad un obbligo non ancora previsto al tempo in cui egli aveva esercitato il proprio diritto alla tutela giurisdizionale” (ex multis, sentenza 21 luglio 2016, n. 2191). Più di recente, invece, con la sentenza 28 novembre 2016, n. 3095, il TAR Catania ha, coraggiosamente, superato questa lettura della norma. Definendo un ricorso introitato prima dell’entrata in vigore delle modifiche legislative in parola, il Giudice da un lato si è trovato un ricorrente che non dava prova dell’assolvimento degli obblighi previsti dall’art. 5 sexies della Legge Pinto; dall’altro ha preso nota della posizione dell’avvocatura erariale che chiedeva – e proprio in virtù di tale mancanza – la dichiarazione di improcedibilità del giudizio. In tale controversia, il Collegio ha statuito come la normativa vigente non precluda la decisione sulla domanda di ottemperanza. Le legge, infatti, non introduce profili di inammissibilità della domanda giudiziaria per carenza dei presupposti – in quanto per questi ultimi si deve fare riferimento al regime vigente al momento della sua proposizione – né una condizione sopravvenuta di improcedibilità. Le disposizioni in questione, tuttavia, comportano l’esigenza che il pagamento intervenga solo a seguito della verifica, da parte dell’amministrazione compulsata o del commissario ad acta, dell’intervenuta esecuzione degli obblighi di comunicazione previsti dalla legge. La pronunzia del TAR Catania può così essere sintetizzata «la domanda di ottemperanza proposta prima dell’entrata in vigore dell’art. 5 sexies della Legge Pinto può essere accolta, ma l’ordine giudiziale susseguente, volto a disporre le misure necessarie ad assicurare l’esecuzione del giudicato, deve essere emesso nel rispetto delle modalità legali attualmente vigenti, ovvero dopo l’assolvimento degli obblighi di comunicazione ora previsti dalla legge». Per l’effetto, la mancata produzione della documentazione chiesta dalla legge non nuoce al riconoscimento del diritto vantato verso l’Amministrazione. Chiunque abbia rispettato gli obblighi previsti in tema di notifica del decreto emesso a seguito del procedimento ex art. 2 della Legge Pinto, nonché le condizioni richieste per adire il Giudice dell’ottemperanza, ha pieno diritto di ottenere la chiesta pronunzia giurisdizionale, tesa a ordinare all’Amministrazione di dare esecuzione al decisum. Il conseguente ordine di pagamento, però, è sottoposto alla conditio juris del previo assolvimento, da parte del ricorrente, degli obblighi di comunicazione posti a suo carico dall’art. 5 sexies, comma primo, della Legge n. 89/2001, obblighi che è tenuto a verificare, in caso di avvenuto suo insediamento, anche il commissario ad acta.

9 Gennaio 2017 | By More