CRITERI E LIMITI DIMENSIONALI DEGLI ATTI DIFENSIVI: andiamo nella direzione corretta?

8 Dicembre 2016 | By More

Cari colleghi,
intervengo brevemente sulle recenti iniziative in ordine all’art. 13 ter del C.P.A. per segnalare un errore di prospettiva nel quale rischiamo di cadere.
Benché sia diffusa la consapevolezza che il Giudice amministrativo percepisca come problema i ricorsi lunghi e complessi il tenore dell’art. 13 ter, primo comma, è meno massimalista del dibattito che lo ha generato e che lo sta seguendo.
La parte della disposizione di massima rilevanza, secondo il mio modesto giudizio, è quella nella quale si afferma che «le parti redigono il ricorso e gli altri atti difensivi secondo i criteri e nei limiti dimensionali stabiliti con decreto del presidente del Consiglio di Stato».
Mi sembra evidente che i “criteri” ed i “limiti dimensionali” siano concetti del tutto distinti e, mentre i secondi si limitano ad esprimere una “quantità” da misurarsi in numero di pagine o di caratteri o altro, i “criteri” attengono ad un aspetto connesso alla logica e rimanda ai buchi del setaccio che consentono ad alcune cose di passare ad altre no.
Mi stupisce, a questo punto, che lo stesso Presidente del Consiglio di Stato, nell'illustrare “alcuni punti sui quali dovrebbe basarsi il futuro provvedimento” afferma che dovrebbe sostituirsi “il criterio dei numeri delle pagine introducendo quello del numero massimo di caratteri utilizzabili”.
Certo, è una soluzione come un’altra ma i “criteri” di redazione degli atti difensivi di cui parla l’art. 13 ter non sono certo i criteri per determinare i limiti dimensionali che attengono –appunto- a limiti quantitativi (ovvero a come calcolarli) ma non centrano nulla con i criteri di redazione del ricorso e degli altri atti difensivi.
Detto ciò è possibile immaginare dei “criteri” di redazione degli atti difensivi a cui, solo dopo, si debbano applicare i limiti dimensionali?
A mio giudizio si.
L’anteposizione della rubrica al motivo di ricorso (praticata pressoché costantemente dagli amministrativisti) è un “criterio” di redazione degli atti difensivi ed è anche utile per gli Avvocati che lo utilizzano e per i Giudici che sono chiamati a decidere. Un’applicazione meramente contabile dei limiti dimensionali potrebbe far sparire questa buona pratica che potrebbe essere ritenuta un inutile orpello il quale sottrae spazio utile all’esplicazione dei motivi.
Siamo veramente certi di voler abbandonare questo metodo di redazione dei ricorsi? Quantomeno, le rubriche dei ricorsi dovrebbero tenersi fuori dal calcolo dai limiti dimensionali.
Nell'esperienza di ogni giurista c’è, poi, la consapevolezza che alcune controversie possono essere decise applicando una singola regola giuridica e magari risolvendo una singola questione di diritto ed altre controversie, più complesse, nelle quali le regole da applicare sono molteplici e le questioni di diritto possono essere ancora di più.
Questa consapevolezza è anche del legislatore il quale all’art. 72 del CPA (significativamente di poco precedente all’art. 73 bis) istituisce una corsia preferenziale per quelle controversie che è possibile decidere risolvendo «una singola questione di diritto».
Mi sembra, a questo punto, che -al fine di non comprimere eccessivamente il diritto di difesa- i limiti dimensionali debbano essere calcolati, non con riferimento all'intero ricorso (ad es. 20 pagine e non più) ma con riferimento alla singola questione di diritto (ad es. da illustrarsi in 2 pagine, 50 righe, 600 parole o 3.500 caratteri, poco importa) e, quindi, al singolo motivo di ricorso.
Infine, proprio perché il codice da rilevanza alla risoluzione della questione di diritto, mi chiedo se non sarebbe utile riproporre, nell'ambito del processo amministrativo, l’onere di fissare il quesito di diritto a cui il Giudice deve dare risposta così come si è praticato per alcuni anni nei giudizi di legittimità avanti la Cassazione.
In definitiva i principi di sinteticità e chiarezza e l’obiettivo di consentire lo spedito svolgimento dei giudizi passano, a mio parere, più da una standardizzazione del modello di ricorso (il che significa individuare criteri uniformi e condivisi) che non dalla mera previsione di limiti dimensionali al ricorso nel suo complesso (neppure imposti esplicitamente per legge e comunque da coniugarsi con i criteri di redazione).
La redazione di un indice dei motivi di ricorso, previsto dalle prime indicazioni del presidente De Lise, sfuggiva all'idea (anzi la contraddiceva) della mera riduzione del numero delle pagine ma era volta a promuovere un modello che facilitasse la lettura dell’atto giudiziario.
Per di più solo dalla standardizzazione del modello di ricorso può derivare una più agevole lettura informatica dei medesimi tale da consentire, ad es., la contestuale fissazione in udienze tematiche dei ricorsi che hanno motivi con uguali rubriche ovvero con rubriche le quali richiamano identiche norme.
Alla base del dovere dell’avvocato di difendere il proprio singolo cliente c’è quello di preservare nell'ordinamento adeguati spazi difensivi; ciò non avviene prevedendo meri limiti dimensionali degli atti difensivi e, magari, una congerie di eccezioni difficilmente valutabili a priori (chi stabilisce la complessità degli atti impugnati? Faremo appelli solo per decidere che gli atti impugnabili erano complessi e, quindi, ha fatto male il Giudice di primo grado a non esaminare i motivi oltre la 20° pagina?).
Francamente preferirei assoggettarmi all'onere di:
 redigere la rubrica secondo format prestabiliti;
 formulare il quesito di diritto
 contenere in 2 pagine ogni singolo motivo di ricorso
piuttosto che avere un limite dimensionale complessivo -anche di 40 pagine (formula esclusa).
Avv. Nicolò D’Alessandro

Category: Area Riservata, Processo amministrativo

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