RSSCategory: Ordine pubblico e sicurezza pubblica

INTERDITTIVA – ALTRA IMPORTANTE SENTENZA DEL CGA – Non discrezionalità ma “valutazione tecnica”. Insufficienza dei meri sospetti.

13 Gennaio 2018 | By More

L’INTERDITTIVA E’ SOLO REQUISITO PER LA STIPULA E NON DI PARTECIPAZIONE? – CGA, 27.4.2017 n. 201, sentenza, pres. Deodato, est. Gaviano – Con nota dell’avv. Ignazio Scuderi

CGA, decisione 27.4.2017 n. 201, pres. Deodato, est. Gaviano

29 Giugno 2017 | By More

INFORMATIVA ANTIMAFIA INTERDITTIVA E’ LEGITTIMA QUALORA EMERGA UN CONTESTO AMBIENTALE DAL QUALE AFFIORINO EVENTUALI TENTATIVI DI INFILTRAZIONE MAFIOSA – Ordinanza TAR Catania, sez. IV, Ord. 29.05.2017, Pres. Pennetti, Rel. Burzichelli

10 Giugno 2017 | By More

ORDINE PUBBLICO E SICUREZZA – PROVVEDIMENTI DI DASPO – E’ NECESSARIO IMPUGNARE L’AUTONOMO PROVVEDIMENTO DI DASPO CHE INIBISCE L’ACCESSO A DETERMINATI LUOGHI SPORTIVI – Ordinanza TAR Catania, sez. IV, Ord. 19.12.2016, Pres. Pennetti, Rel. Bruno

TAR Catania, sez. IV, Ordinanza 19.12.2016, n. 983 ORDINE PUBBLICO E SICUREZZA – PROVVEDIMENTI DI DASPO – E’ NECESSARIO IMPUGNARE L’AUTONOMO PROVVEDIMENTO DI DASPO CHE INIBISCE L’ACCESSO A DETERMINATI LUOGHI SPORTIVI.

Il TAR ha respinto l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento prefettizio recante il rigetto del ricorso gerarchico presentato dai ricorrenti avverso le determinazioni della Questura.

Il TAR ha ritenuto che il provvedimento oggi impugnato è solo il decreto prefettizio che ha deciso, con esito negativo, il ricorso gerarchico proposto avverso le note della Questura con le quali è stata respinta la richiesta di revisione dei provvedimenti di DASPO già adottati e notificati circa due anni addietro ai ricorrenti; che tali provvedimenti di DASPO, autonomamente lesivi, anche nella sola parte in cui impongono il divieto di accesso alle strutture sportive, non sono stati mai impugnati in sede giurisdizionale; che pertanto il sindacato giurisdizionale innescato con il ricorso debba essere esercitato solo sul citato provvedimento prefettizio; che i provvedimenti della Questura, emessi su richiesta di riesame avanzata dai ricorrenti dopo la sentenza della Corte di cassazione (nonché il decreto di decisione del ricorso gerarchico) hanno omesso, legittimamente, di tenere conto della decisione della sentenza della Corte di cassazione, dato che questa è intervenuta unicamente su una misura accessoria al DASPO, avente autonoma valenza lesiva, sindacabile solo dal giudice ordinario. Ha inoltre considerato che gli atti della Questura adottati in risposta alla richiesta di riesame costituiscono meri “atti confermativi” e non “provvedimenti propri di conferma” del non impugnato originario provvedimento (il DASPO) che inibiva l’accesso a determinati luoghi; che, per pacifica giurisprudenza, gli atti confermativi non sono suscettibili di autonoma impugnazione, in quanto non esprimono attività di rivalutazione e di riesercizio del potere amministrativo; che il decreto di decisione del ricorso gerarchico non risulta affetto dai denunciati vizi in quanto avente ad oggetto solo un atto confermativo, e non l’originario DASPO; che l’originario DASPO non può oggi essere surrettiziamente sottoposto all’esame del giudice amministrativo, pena l’elusione dei termini di decadenza che ne regolamentano l’impugnazione.

2 Febbraio 2017 | By More

BUTTAFUORI – IL CGA RIFORMA LE ORDINANZE CAUTELARI DEL TAR IN MATERIA DI ISCRIZIONE NELL’APPOSITO ELENCO – CGA n. 617 e 479 del 2016 – Pres. Zucchelli – Rel. Barone

CGA, sez. giurisdizionale, Ordinanze 15.09.2016, n.617 e 08.07.2016, n.479 – Pres. Zucchelli, Rel. Barone

Ordine pubblico e sicurezza Pubblica – Iscrizione nell’elenco del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e spettacolo – Buttafuori

 

Il CGA ha riformato le ordinanze del TAR Catania, sez. IV, n. 454/2016 e n.312/2016, con cui erano state respinte le istanze volte ad ottenere l’iscrizione nell’elenco del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e spettacolo ai sensi del D.M. 6.10.2009 (Determinazione dei requisiti per l’iscrizione nell’elenco prefettizio del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi), in quanto i provvedimenti impugnati in primo grado non sono sufficientemente motivati e sono lesivi del diritto al lavoro degli appellanti.

Note

1) Il CGA ha accolto gli appelli cautelari e per l’effetto, in riforma delle ordinanze del TAR Catania impugnate, ha accolto le istanze in primo grado. Il CGA ha ritenuto che i provvedimenti impugnati in primo grado non sono adeguatamente motivati e che, comunque, sono contraddetti dall’ampia giurisprudenza richiamata dagli appellanti.  Il CGA ha considerato, altresì, che il provvedimento impugnato in primo grado incide sul diritto al lavoro degli appellanti, pertanto dovrebbe essere fornito di una puntuale e convincente motivazione.

2) A suo tempo è stata pubblicata in questo sito l’ordinanza del TAR Catania, sez. IV, 21.4.2016, n. 312, ora riformata dal CGA, la quale aveva ritenuto che le censure articolate in ricorso apparivano inidonee a sconfessare il giudizio tecnico/discrezionale formulato dall’amministrazione procedente.

6 Dicembre 2016 | By More

BUTTAFUORI – QUALI LIMITI ALLA CENSURABILITA’ DEL POTERE DISCREZIONALE DELLA PREFETTURA? – TAR Catania, sez. IV, ord. 21.04.2016

TAR Catania, sez. IV, ordinanza 21.04.2016, n. 312, pres. G. Penetti, Rel. F. Bruno

Sicurezza Pubblica – Iscrizione nell’elenco del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e spettacolo -buttafuori – Legittimità del diniego di iscrizione per motivato giudizio tecnico-discrezionale.

E’ legittimamente respinta l’istanza volta ad ottenere l’iscrizione nell’elenco del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e spettacolo ai sensi del D.M.6.10.2009 (Determinazione dei requisiti per l'iscrizione nell'elenco prefettizio del personale addetto ai servizi di controllo delle attivita' di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi) in quanto le censure articolate in ricorso appaiono inidonee a sconfessare il motivato giudizio tecnico/discrezionale espresso dall’amministrazione procedente.

Nota:

Il ricorrente ha impugnato il decreto del Prefetto di Catania con cui è stata rigettata l’istanza per ottenere l’iscrizione nell’elenco del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo ai sensi del D.M. 06/10/2009

Il ricorrente ha dimostrato di essere in possesso di tutti i requisiti previsti dall’art. 1, comma 4, del D.M. 06/10/2009 e dall’art. 11 del T.U.L.P.S., producendo tutta la documentazione a supporto: 

a) dichiarazione di età non inferiore a 18 anni;

b) certificato medico di idoneità psico-fisica per lo svolgimento dell'attività di controllo di cui all'art. 5, e certificato di assenza di uso di alcol e stupefacenti;

c) certificato generale del casellario giudiziale e certificato dei carichi pendenti della Procura della Repubblica di Catania che non attestano la presenza di condanne, anche con sentenza non definitiva, per delitti non colposi; di non essere sottoposto né essere stato sottoposto a misure di prevenzione, ovvero destinatario di provvedimenti di cui all'art. 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401; di non essere aderente o essere stato aderente a movimenti, associazioni o gruppi organizzati di cui al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205;

d) diploma di scuola media inferiore;

e) attestato di superamento del corso di formazione di cui all'art. 3 per ex buttafuori “personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi”.

L’Amministrazione ha rigettato l’istanza motivando il diniego sulla base di circostanze generiche censurate per palese difetto di istruttoria: “il richiedente non possiede il requisito della buona condotta 'ex art. 11 T.U.L.P.S.', in quanto controllato numerose volte in compagnia di persone con precedenti di Polizia e condanne”; il procedimento amministrativo, inoltre, è stato concluso a distanza di 1 anno e nove mesi dalla presentazione dell’istanza.

Il TAR ha rigettato l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato, considerato che, ad un primo esame, le censure articolate in ricorso appaiono inidonee a sconfessare il motivato giudizio tecnico/discrezionale espresso dall’amministrazione procedente, condannando il ricorrente al pagamento delle spese della fase cautelare, liquidate in euro 500.

In identica fattispecie, il TAR Catania, sez. IV, si è già pronunciato con le ordinanze cautelari n. 467/2015 del 11-12/06/2015 e n. 38/2015 del 15-16/01/2015, accogliendo la domanda cautelare del ricorrente, gravato addirittura da precedenti penali.

L’ordinanza 312/2016 del TAR Catania è, per la prima volta, in controtendenza rispetto alla consolidata giurisprudenza formatasi sul punto de quo (Vedi TAR Lecce, sez. I, 13/10/2014, n. 2478; Cfr. TAR Liguria, sez. II, 22/01/2016, n.69; TAR Lombardia Milano, 05/12/2014, n. 2963; TAR Marche Ancona, se. I, 07/03/2014, n.324; TAR Lazio Roma, sez. I ter, 31/05/2013, n.5475; TAR Lazio Roma, sez. I ter, 24/04/2013, n.4140; TAR Liguria Genova, sez. II, 09/09/2013, n. 1156).

Dalle citate pronunce emerge incontrovertibilmente che tutti i ricorrenti, a cui i TAR hanno annullato i provvedimenti di diniego dell’iscrizione nell’elenco prefettizio del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo, erano soggetti gravati da considerevoli precedenti giudiziari: soggetti che erano stati querelati; soggetti che erano stati colpiti da condanne penali con la pena della reclusione (per omicidio colposo, reati di falso etc.) oltre alla multa.

11 Novembre 2016 | By More

SICUREZZA PUBBLICA – ARMI ED ESPLODENTI – PORTO D’ARMI – Revoca – nei confronti di un soggetto ” litigioso” – Ordinanza TAR Catania, sez. IV, Ord. 22.10.2016, Pres. Rel. Pennetti

TAR Catania, sez. IV, ordinanza 22.10.2016, n.789, pres. rel. Pennetti.

Sicurezza pubblica – Armi ed eplodenti – Porto d'armi – Revoca – In presenza di un litigio e di dichiarata rabbia ed ira – Legittimità.

La revoca del porto d'armi di fucile e del relativo libretto è legittima, ai sensi dell’art. 43, co. I, ultimo capoverso, del T.U.L.P.S., se il titolare della licenza non fornisca la prova della sua buona condotta.

Nota

Il TAR ha considerato rilevante, ai fini del rigetto della domanda cautelare, il giudizio di inaffidabilità, contenuto nel provvedimento impugnato, avuto riguardo in particolar modo alla condotta del ricorrente (nel provvedimento è stato citato l’episodio del “litigio”), ed alla condizione soggettiva dello stesso (“rabbia ed ira” manifestata dal ricorrente, come dichiarato in seno al ricorso medesimo).

 

 

4 Novembre 2016 | By More

SICUREZZA PUBBLICA – ARMI ED ESPLOSIVI – Obbligo di riesame a seguito di fatto nuovo (archiviazione GIP) – Ordinanza TAR Catania, sez. IV, Ord. 22.10.2016, pres. Pennetti, rel. Savasta

TAR Catania, sez. IV, Ordinanza 22.10.2016, n. 791, pres. Pennetti, rel. Savasta.

Sicurezza pubblica – Armi ed esplosivi – Porto di arma d'ordinanza – Divieto fuori dal servizio – Per pendenza di procedimento penale – Sopravvenuta archiviazione del C.I.P. – Obbligo di riesame

Il TAR ha accolto l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento  con cui il Prefetto ha diffidato il ricorrente a portare l'arma d'ordinanza quale agente di polizia penitenziaria esclusivamente durante lo svolgimento del servizio, depositandola a fine turno presso l'armeria della caserma in cui presta la propria attività, ritenuto che il provvedimento impugnato è stato comunque condizionato all’esito del procedimento penale, conclusosi con decreto di archiviazione del G.I.P., e che l’Amministrazione deve, pertanto, esitare le istanze di riesame introdotte da parte ricorrente, in considerazione della detta sopravvenuta circostanza.

Nota: il TAR ha accolto l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento adottato dalla Prefettura di Enna, con cui il Prefetto della provincia di Enna ha diffidato il ricorrente a portare l'arma d'ordinanza con cui presta l'attività di Agente di polizia penitenziaria esclusivamente durante lo svolgimento del servizio, depositandola a fine turno presso l'armeria della caserma in cui presta la propria attività e ciò fino alla definizione del procedimento penale a suo carico. Il TAR ha ritenuto che il provvedimento impugnato è stato condizionato dall’esito del procedimento penale a carico del ricorrente, conclusosi con decreto di archiviazione del G.I.P. del Tribunale di Enna; L’Amministrazione deve, pertanto, esitare le istanze di riesame introdotte da parte ricorrente, in considerazione della detta sopravvenuta circostanza.

 

 

4 Novembre 2016 | By More

INTERDITTIVE ANTIMAFIA – IL C.G.A. AVVERTE: ai prefetti non è dato “un potere extra ordinem” altrimenti “si perverrebbe ad un aberrante meccanismo … simile a quella su cui si fondava … l’inquisizione medievale” – Sentenza 3.8.2016, pres. Zucchelli, rel. Modica de Mohac

C.G.A. 3.8.2016 n. 257, sentenza, pres. Zucchelli, rel. Modica de Mohac

 

1. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Garanzie in tema di repressione penale – Applicabilità nella sua interezza all'interdittiva – Esclusione.

2. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Garanzie in tema di applicazione delle misure di prevenzione – Applicabilità all'interdittiva a maggior ragione.

3. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Applicazione della interdittiva antimafia – Necessità di particolare prudenza e specifiche cautelare per evitare censure di incostituzionalità o violazione di diritti inviolabili garantiti dal diritto comunitario ed internazionale.

4. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Attuazione del principio di legalità attraverso la delimitazione obiettiva e la definizione rigorosa della fattispecie: artt. 84, comma 4, 85, comma 6, e 91 comma 6, d.lgv. 159/2011.

5. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Individuazione, attraverso gli artt. 84, comma 4, 85, comma 6, e 91 comma 6, d.lgv. 159/2011: a) dei soggetti "mafiosi" e "presunti mafiosi"; b) delle caratteristiche della loro condotta; c) degli elementi utili per la verifica della situazione di pericolo.

6. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Determinazione, attraverso gli artt. 84, comma 4, 85, comma 6, e 91 comma 6, d.lgv. 159/2011, di una nozione tecnica, e non meramente sociologica, di "tentativo di infiltrazione mafiosa" e in base a meri sospetti ("su cui si fondava … l'inquisizione medievale")

7. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Precedenti mafiosi con esiti assolutori o liberatori – Irrilevanza ai fini della pericolosità.

8. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Mera frequentazione di un presunto mafioso o di un soggetto acclaratamente mafioso – Irrilevanza ai fini del contagio.

9. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Possibilità anche di un'interdittiva antimafia basata su considerazioni induttive o deduttive diverse da quelle espressamente individuate dal Legislatore –  Ma inesistenza di un potere extra ordinem imperniato su un inedito "principio del libero convincimento".

10. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Pericolo di infiltrazioni mafiose – Desumibilità dalle frequentazioni di "mafiosi" o "presunti mafiosi" in senso tecnico – Condizioni.

                                                 

1. – Allo stato del dibattito culturale in tema di misure di prevenzione, non può essere accettata l’idea secondo cui il regime di garanzie che assiste il sistema della repressione penale debba essere esteso ed applicato nella sua totalità al sistema della prevenzione. L’affermazione dell’opposto principio determinerebbe, invero, la (pressocchè totale) soppressione del sistema di prevenzione (o la costruzione di un sistema ibrido, malfunzionante).

2. –  Si applicano a maggior ragione all'interdittiva antimafia le regole valevoli in tema di misure di prevenzione in merito alle quali la Corte Costituzionale ha avuto modo di esprimersi affermando che “Il principio di legalità in materia di prevenzione, il riferimento, cioè, ai ‘casi previsti dalla legge’, lo si ancori all'art. 13 ovvero all'art. 25, terzo comma, Cost., implica che la applicazione della misura, ancorché legata, nella maggioranza dei casi, ad un giudizio prognostico, trovi il presupposto necessario in ‘fattispecie di pericolosità’, previste e  descritte dalla legge; fattispecie destinate a costituire il parametro dell'accertamento giudiziale e, insieme, il fondamento di una prognosi di pericolosità, che solo su questa base può dirsi legalmente fondata” (Corte Cost., n.177/1980).

3. – L’ "interdittiva antimafia" è, infatti, una misura di prevenzione sui generis in quanto – come chiarito dalla Giurisprudenza – finisce inevitabilmente per determinare un pregiudizio anche nei confronti dei soggetti che hanno subito l’azione di infiltrazione, e cioè sia a carico dei soggetti passivi nella c.d. “contiguità soggiacente” (di cui in C.S., VI^, 30.12.2005 n.7619 che ne tratteggia la differenza rispetto alla diametralmente opposta c.d. “contiguità compiacente”) sia – paradossalmente – a carico di soggetti terzi estranei e totalmente incolpevoli; ragion per cui la sua applicazione dev’essere ‘dosata’ con particolari prudenza ed equilibrio ed avvolta da specifiche ‘cautele’ (così, testualmente, in CS, V^, 27.6.2006 n.4135; CS, IV^, 4.5.2004 n.2783) affinchè sia scongiurato il rischio che la normativa che la disciplina subisca censure di incostituzionalità o determini procedimenti di infrazione per violazione di diritti inviolabili garantiti dal diritto comunitario ed internazionale, o venga comunque censurata dagli Organi della Giustizia comunitaria.

4. – Il Legislatore, consapevole della potenza dirompente dell’istituto interdittivo e della sua concreta idoneità (o tendenza) a ledere taluni fondamentali ‘diritti di libertà’, in conformità al principio di tipicità, fin da tempo risalente, ha delimitato la fattispecie di pericolo con una certa precisione, individuando ed indicando, ai fini della corretta applicazione delle norme che disciplinano l’utilizzazione della misura in questione, gli indici rivelatori o sintomatici della esistenza di infiltrazioni mafiose, in precedenza identificati dall'art. 4 d.lgv. 490/1994 e dall'art. 10, comma 7, del d.P.R. 252/1998, ed ora individuati nel codice antimafia dagli artt. 84, comma 4, 85, comma 6, e 91 comma 6. Sicchè, in base a tali norme, è possibile pervenire ad una delimitazione obiettiva e ad una definizione rigorosa della fattispecie indicata come “tentativo di infiltrazione mafiosa” e ad una nozione tecnica di tale fattispecie.

5. – Il Legislatore, con gli artt. 4 d.lgv. 490/1994 e 10, comma 7, del d.P.R. 252/1998, ed ora con gli artt. 84, comma 4, 85, comma 6, e 91 comma 6, del codice antimafia, ha individuato ed indicato: – sia i soggetti che per precedenti penali, carichi pendenti o posizione giudiziaria, o per altre circostanze ad essi riferibili (ad esempio la “convivenza” o la “coabitazione”) siano da considerare “mafiosi”, o comunque in qualche modo “contigui alla mafia” (o ad altre organizzazioni criminali equiparate) e dunque ‘presunti mafiosi’ ed intrinsecamente pericolosi; – sia le caratteristiche oggettive e soggettive che la loro condotta deve presentare per essere considerata come indice rivelatore di pericolosità; – sia, ancora, gli elementi che devono essere valutati al fine di verificare la effettiva e concreta sussistenza della situazione di pericolo o di rischio che giustifica l’adozione della misura.

6. – Dall’analisi e dalla ricostruzione sistematica della predetta (disorganica e frammentaria) normativa è possibile pervenire ad una delimitazione obiettiva e ad una definizione rigorosa della fattispecie indicata come “tentativo di infiltrazione mafiosa” e ad una nozione tecnica di tale fattispecie. Se infatti prevalesse una nozione meramente sociologica (anzicchè tecnicamente giuridica) del fenomeno associativo mafioso, si finirebbe per giungere ad una estensione extra ordinem (incontrollata ed incontrollabile) del concetto di ‘pericolosità sociale’ che potrebbe innescare meccanismi abnormi e perversi dei quali potrebbero finire per beneficiare, paradossalmente, gli stessi gruppi criminali; se fosse possibile qualificare "mafioso" un soggetto sulla scorta di meri sospetti si perverrebbe ad un aberrante meccanismo di estensione a catena della pericolosità simile a quella su cui si fondava … l'inquisizione medievale.

7. – Nel rispetto dei principi di legalità e di certezza del diritto – per essere considerato mafioso non è (e non può essere) sufficiente aver subìto – con l’accusa di cui all’art.416 bis del codice penale – un procedimento penale poi conclusosi con un proscioglimento o con una assoluzione; o un ‘procedimento di prevenzione antimafia’ conclusosi – magari svariati anni prima – con formula liberatoria, o avere subìto una ‘misura di prevenzione’ annullata per difetto dei presupposti applicativi; o essere stato ‘illo tempore’ condannato per associazione di stampo mafioso (o per concorso esterno in associazione mafiosa) pur avendo ormai scontato la pena ed ottenuto la riabilitazione (così, pacificamente, in: CS, VI^, 3.9.2009 n.5194; CS, V^, 26.11.2008 n.5846; CS, VI^, 9.9.2008 n.4306; CS., V^, 31.5.2007 n.2828; CS.VI^, 25.9.2008 n.5780). Similmente non è sufficiente far parte (o intrattenere rapporti di amicizia con un membro) di una famiglia che annoveri fra i suoi componenti uno o più soggetti che abbiano subìto i predetti procedimenti con gli esiti assolutori o liberatori sopra indicati.

8. – La mera frequentazione di un presunto mafioso (ma tale considerazione vale anche per l’ipotesi di mera frequentazione di un soggetto acclaratamente mafioso) non può determinare il ‘contagio’; altrimenti  si determinerebbe una catena infinita di presunzioni atte a colpire un numero enorme di soggetti senza alcuna seria valutazione in ordine alla loro concreta vocazione criminogena con instaurazione di un regime di polizia.

9. – L’elenco degli elementi da cui desumere la sussistenza della situazione di pericolo di infiltrazioni mafiose desumibile dalle norme sopra citate non è tassativo. Ed invero l’art.10, comma 7, lettera ’c’ del DPR 3 giugno 1998 n.252 (che, come già osservato, è applicabile alla fattispecie ratione temporis) e, oggi (a regime), gli artt. 84, comma 4, lett. ‘d’ ed ‘e’, 91, comma 6, nonchè 93, commi 2 e 4, del codice antimafia lasciano desumere che il provvedimento interdittivo possa basarsi – ove se ne ravvisi la necessità – su considerazioni induttive o deduttive diverse da quelle che hanno spinto il Legislatore ad indicare (con la rilevata precisione) gli “indici presuntivi” fin qui descritti. Tuttavia tali norme non hanno la funzione logico-giuridica, né la forza e l’effetto, di estendere ad libitum la categoria dei “presunti mafiosi” (e delle presunzioni destinate ad accompagnare tali individui). Il complesso di poteri da esse attribuiti ai prefetti non va dunque equiparato ad un’autorizzazione – extra ordinem – a tralasciare di compiere indagini fondate su condotte e/o su elementi di fatto percepibili (e/o ad omettere nel provvedimento interdittivo ogni riferimento ad indici obiettivi rivelatori di pericolosità); né può essere considerato come una sorta di viatico per l’affermazione di un inedito “principio del libero convincimento” in ordine alla pericolosità da infiltrazione mafiosa.

10. – Il pericolo della sussistenza di infiltrazioni mafiose può essere desunto  anche dal fatto che soci e/o amministratori dell’impresa o della società soggetta a controllo “frequentano” soggetti che siano qualificabili, in senso tecnico, "mafiosi" o "presunti mafiosi"). Ma le presunzioni dovranno essere gravi, precise e concordanti. Non è sufficiente, al riguardo, affermare nel provvedimento interdittivo che un determinato soggetto è stato “notato” accompagnarsi con un soggetto malavitoso. Occorrerà precisare la ragione tecnica per la quale quest’ultimo va considerato mafioso (nel senso tecnico fin qui indicato; e non già nel significato sociologico e non giuridico che il termine spesso assume); le circostanze di tempo e di luogo in cui è stato identificato; e le ragioni logico-giuridiche per le quale si ritiene che si tratta non di mero incontro occasionale (o di incontri sporadici), ma di “frequentazione” effettivamente rilevante (ossia di relazione periodica, duratura e costante volta ad incidere sulle decisioni imprenditoriali).

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Per leggere la sentenza clicca sul seguente link:

https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/wcm/idc/groups/public/documents/document/mday/mjuw/~edisp/kwl7bw3c5qnhmcvppxpuhugy7i.html

 

4 Novembre 2016 | By More

INTRODUZIONE DEL PRESIDENTE DEL TAR CATANIA DOTT. ANTONIO VINCIGUERRA

Antonio Vinciguerra

Presidente del T.A.R. Sicilia – Sezione di Catania

INTRODUZIONE

 

Nella ricerca di garanzie a tutela della legalità nelle procedure di gara per l’aggiudicazione di appalti pubblici la vigente normativa lascia ampio spazio alla discrezionalità delle amministrazioni nella valutazione degli indizi utili a determinare le interdittive delle imprese sospette di rapporti con la criminalità e la conseguente gestione commissariale delle stesse.

Se da un lato vengono alla luce le esigenze di legalità e di trasparenza dell’azione dei pubblici poteri, nonché le esigenze della sicurezza, dall’altro sorge la necessità di contemperamento con i valori costituzionali protetti.

Il Consiglio di Stato, nell’ambito della sentenza n. 868 del 29 febbraio scorso, ha fornito alcuni chiarimenti in merito all’interdittiva antimafia.

La pronuncia ha ricordato che costante giurisprudenza, riguardo l’interdittiva antimafia, a rilevato l’ampiezza dei parametri fissati dalla legge, il carattere preventivo della misura e la natura meramente indiziaria dei presupposti di fatto che la legge richiede per la sua adozione.

Il collegio ha quindi ritenuto che per salvaguardare i principi di legalità e di certezza del diritto  l’ampia discrezionalità di apprezzamento riservata al Prefetto può essere sindacata dal giudice amministrativo solo nei limiti di evidenti vizi di eccesso di potere per manifesta illogicità e erronea e travisata valutazione dei presupposti e che in ogni caso la suddetta discrezionalità per quanto ampia, non possa in ogni caso essere esercitata sulla base del mero sospetto, ma previa individuazione di idonei e specifici elementi di fatto, che singolarmente o nel loro complesso siano obiettivamente sintomatici e rivelatori del rischio di collegamenti con la criminalità organizzata

Aspetti messi in lucealtresì nella sentenza n. 1102 del 2013 del T.A.R. di Catania.

La pronuncia ha riconosciuto che l’informativa antimafia atipica prevista dall’art. 10 del D.P.R. 252/1998 non richiede la prova certa e sicura dell’avvenuta infiltrazione mafiosa nella gestione dell’impresa, bensì, al contrario, la disposizione di legge è strutturata in modo da attribuire rilievo a molteplici indizi che possano far desumere l’esistenza di un rischio di infiltrazione ad opera della criminalità organizzata.

In proposito la sentenza n. 2682 del 2012 del T.A.R. di Napoli ha chiarito, con pronunciamento inequivocabile, che l’ informativa interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e preventiva, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste. Ciò che deve essere provato, infatti, non è l’intervenuta infiltrazione mafiosa, ma solo la sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il pericolo di ingerenza. L’insieme degli elementi raccolti, poi, non vanno riguardati in modo atomistico, ma unitario, sì che la valutazione deve essere effettuata in relazione ad uno specifico quadro indiziario nel quale ogni elemento acquista valenza nella sua connessione con gli altri.Tale atipicità degli elementi valutabili è il diretto frutto della ratio dell’istituto, da ravvisarsi nella necessità di anticipare la soglia di difesa sociale con una tutela avanzata nel contrasto alla criminalità organizzata, segnatamente nell’ambito degli appalti pubblici, per la sensibilità della materia in sé e dei valori coinvolti (effettività della tutela della concorrenza nel mercato, genuinità della scelta dell’ente aggiudicatore, tutela della finanza pubblica, ecc.).

Afferma la decisione n. 3104 del 2011 della Terza Sezione del Consiglio di Stato che coerentemente il Prefetto, nel rendere le informazioni antimafia, può basarsi non su specifici elementi, bensì effettuare la propria valutazione sulla scorta di un quadro di indizi sufficientemente chiaro, preciso e non arbitrario, nel quale assumono rilievo preponderante fattori che inducano a ritenere che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni.

I pregressi indizi di contiguità con la criminalità organizzata possono essere superati solo se successivi comportamenti (riferibili ad una diuturna trasparente attività imprenditoriale) siano tali da scolorirne la rilevanza. Tuttavia, il mero trascorrere del tempo non può in quanto tale automaticamente fungere da fattore di riabilitazione. Nelle ipotesi in cui gli indizi addottati, sebbene non attuali rationetemporis, ma comunque non eccessivamente lontani, non esprimano una non lieve compromissione rispetto ad ambienti e logiche malavitose, rispetto alle quali, nonostante il trascorrere del tempo, non sia fornita alcuna riprova di una successiva dissociazione, non vi è ragione di ritenere implausibile una valutazione di permanenza di una condizione di contiguità mafiosa (in questo senso è la sentenza n. 1835 del 2010 del TAR di Napoli).

Ampia discrezionalità di valutazione, dunque, a fronte delle garanzie costituzionali a tutela dell’impresa e a salvaguardia dei livelli occupazionali e della produttività. Argomenti che costituiscono il tema dell’odierno dibattito.

12 Maggio 2016 | By More