INTERDITTIVE ANTIMAFIA – IL C.G.A. AVVERTE: ai prefetti non è dato “un potere extra ordinem” altrimenti “si perverrebbe ad un aberrante meccanismo … simile a quella su cui si fondava … l’inquisizione medievale” – Sentenza 3.8.2016, pres. Zucchelli, rel. Modica de Mohac

4 Novembre 2016 | By More

C.G.A. 3.8.2016 n. 257, sentenza, pres. Zucchelli, rel. Modica de Mohac

 

1. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Garanzie in tema di repressione penale – Applicabilità nella sua interezza all'interdittiva – Esclusione.

2. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Garanzie in tema di applicazione delle misure di prevenzione – Applicabilità all'interdittiva a maggior ragione.

3. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Applicazione della interdittiva antimafia – Necessità di particolare prudenza e specifiche cautelare per evitare censure di incostituzionalità o violazione di diritti inviolabili garantiti dal diritto comunitario ed internazionale.

4. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Attuazione del principio di legalità attraverso la delimitazione obiettiva e la definizione rigorosa della fattispecie: artt. 84, comma 4, 85, comma 6, e 91 comma 6, d.lgv. 159/2011.

5. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Individuazione, attraverso gli artt. 84, comma 4, 85, comma 6, e 91 comma 6, d.lgv. 159/2011: a) dei soggetti "mafiosi" e "presunti mafiosi"; b) delle caratteristiche della loro condotta; c) degli elementi utili per la verifica della situazione di pericolo.

6. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Determinazione, attraverso gli artt. 84, comma 4, 85, comma 6, e 91 comma 6, d.lgv. 159/2011, di una nozione tecnica, e non meramente sociologica, di "tentativo di infiltrazione mafiosa" e in base a meri sospetti ("su cui si fondava … l'inquisizione medievale")

7. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Precedenti mafiosi con esiti assolutori o liberatori – Irrilevanza ai fini della pericolosità.

8. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Mera frequentazione di un presunto mafioso o di un soggetto acclaratamente mafioso – Irrilevanza ai fini del contagio.

9. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Possibilità anche di un'interdittiva antimafia basata su considerazioni induttive o deduttive diverse da quelle espressamente individuate dal Legislatore –  Ma inesistenza di un potere extra ordinem imperniato su un inedito "principio del libero convincimento".

10. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Pericolo di infiltrazioni mafiose – Desumibilità dalle frequentazioni di "mafiosi" o "presunti mafiosi" in senso tecnico – Condizioni.

                                                 

1. – Allo stato del dibattito culturale in tema di misure di prevenzione, non può essere accettata l’idea secondo cui il regime di garanzie che assiste il sistema della repressione penale debba essere esteso ed applicato nella sua totalità al sistema della prevenzione. L’affermazione dell’opposto principio determinerebbe, invero, la (pressocchè totale) soppressione del sistema di prevenzione (o la costruzione di un sistema ibrido, malfunzionante).

2. –  Si applicano a maggior ragione all'interdittiva antimafia le regole valevoli in tema di misure di prevenzione in merito alle quali la Corte Costituzionale ha avuto modo di esprimersi affermando che “Il principio di legalità in materia di prevenzione, il riferimento, cioè, ai ‘casi previsti dalla legge’, lo si ancori all'art. 13 ovvero all'art. 25, terzo comma, Cost., implica che la applicazione della misura, ancorché legata, nella maggioranza dei casi, ad un giudizio prognostico, trovi il presupposto necessario in ‘fattispecie di pericolosità’, previste e  descritte dalla legge; fattispecie destinate a costituire il parametro dell'accertamento giudiziale e, insieme, il fondamento di una prognosi di pericolosità, che solo su questa base può dirsi legalmente fondata” (Corte Cost., n.177/1980).

3. – L’ "interdittiva antimafia" è, infatti, una misura di prevenzione sui generis in quanto – come chiarito dalla Giurisprudenza – finisce inevitabilmente per determinare un pregiudizio anche nei confronti dei soggetti che hanno subito l’azione di infiltrazione, e cioè sia a carico dei soggetti passivi nella c.d. “contiguità soggiacente” (di cui in C.S., VI^, 30.12.2005 n.7619 che ne tratteggia la differenza rispetto alla diametralmente opposta c.d. “contiguità compiacente”) sia – paradossalmente – a carico di soggetti terzi estranei e totalmente incolpevoli; ragion per cui la sua applicazione dev’essere ‘dosata’ con particolari prudenza ed equilibrio ed avvolta da specifiche ‘cautele’ (così, testualmente, in CS, V^, 27.6.2006 n.4135; CS, IV^, 4.5.2004 n.2783) affinchè sia scongiurato il rischio che la normativa che la disciplina subisca censure di incostituzionalità o determini procedimenti di infrazione per violazione di diritti inviolabili garantiti dal diritto comunitario ed internazionale, o venga comunque censurata dagli Organi della Giustizia comunitaria.

4. – Il Legislatore, consapevole della potenza dirompente dell’istituto interdittivo e della sua concreta idoneità (o tendenza) a ledere taluni fondamentali ‘diritti di libertà’, in conformità al principio di tipicità, fin da tempo risalente, ha delimitato la fattispecie di pericolo con una certa precisione, individuando ed indicando, ai fini della corretta applicazione delle norme che disciplinano l’utilizzazione della misura in questione, gli indici rivelatori o sintomatici della esistenza di infiltrazioni mafiose, in precedenza identificati dall'art. 4 d.lgv. 490/1994 e dall'art. 10, comma 7, del d.P.R. 252/1998, ed ora individuati nel codice antimafia dagli artt. 84, comma 4, 85, comma 6, e 91 comma 6. Sicchè, in base a tali norme, è possibile pervenire ad una delimitazione obiettiva e ad una definizione rigorosa della fattispecie indicata come “tentativo di infiltrazione mafiosa” e ad una nozione tecnica di tale fattispecie.

5. – Il Legislatore, con gli artt. 4 d.lgv. 490/1994 e 10, comma 7, del d.P.R. 252/1998, ed ora con gli artt. 84, comma 4, 85, comma 6, e 91 comma 6, del codice antimafia, ha individuato ed indicato: – sia i soggetti che per precedenti penali, carichi pendenti o posizione giudiziaria, o per altre circostanze ad essi riferibili (ad esempio la “convivenza” o la “coabitazione”) siano da considerare “mafiosi”, o comunque in qualche modo “contigui alla mafia” (o ad altre organizzazioni criminali equiparate) e dunque ‘presunti mafiosi’ ed intrinsecamente pericolosi; – sia le caratteristiche oggettive e soggettive che la loro condotta deve presentare per essere considerata come indice rivelatore di pericolosità; – sia, ancora, gli elementi che devono essere valutati al fine di verificare la effettiva e concreta sussistenza della situazione di pericolo o di rischio che giustifica l’adozione della misura.

6. – Dall’analisi e dalla ricostruzione sistematica della predetta (disorganica e frammentaria) normativa è possibile pervenire ad una delimitazione obiettiva e ad una definizione rigorosa della fattispecie indicata come “tentativo di infiltrazione mafiosa” e ad una nozione tecnica di tale fattispecie. Se infatti prevalesse una nozione meramente sociologica (anzicchè tecnicamente giuridica) del fenomeno associativo mafioso, si finirebbe per giungere ad una estensione extra ordinem (incontrollata ed incontrollabile) del concetto di ‘pericolosità sociale’ che potrebbe innescare meccanismi abnormi e perversi dei quali potrebbero finire per beneficiare, paradossalmente, gli stessi gruppi criminali; se fosse possibile qualificare "mafioso" un soggetto sulla scorta di meri sospetti si perverrebbe ad un aberrante meccanismo di estensione a catena della pericolosità simile a quella su cui si fondava … l'inquisizione medievale.

7. – Nel rispetto dei principi di legalità e di certezza del diritto – per essere considerato mafioso non è (e non può essere) sufficiente aver subìto – con l’accusa di cui all’art.416 bis del codice penale – un procedimento penale poi conclusosi con un proscioglimento o con una assoluzione; o un ‘procedimento di prevenzione antimafia’ conclusosi – magari svariati anni prima – con formula liberatoria, o avere subìto una ‘misura di prevenzione’ annullata per difetto dei presupposti applicativi; o essere stato ‘illo tempore’ condannato per associazione di stampo mafioso (o per concorso esterno in associazione mafiosa) pur avendo ormai scontato la pena ed ottenuto la riabilitazione (così, pacificamente, in: CS, VI^, 3.9.2009 n.5194; CS, V^, 26.11.2008 n.5846; CS, VI^, 9.9.2008 n.4306; CS., V^, 31.5.2007 n.2828; CS.VI^, 25.9.2008 n.5780). Similmente non è sufficiente far parte (o intrattenere rapporti di amicizia con un membro) di una famiglia che annoveri fra i suoi componenti uno o più soggetti che abbiano subìto i predetti procedimenti con gli esiti assolutori o liberatori sopra indicati.

8. – La mera frequentazione di un presunto mafioso (ma tale considerazione vale anche per l’ipotesi di mera frequentazione di un soggetto acclaratamente mafioso) non può determinare il ‘contagio’; altrimenti  si determinerebbe una catena infinita di presunzioni atte a colpire un numero enorme di soggetti senza alcuna seria valutazione in ordine alla loro concreta vocazione criminogena con instaurazione di un regime di polizia.

9. – L’elenco degli elementi da cui desumere la sussistenza della situazione di pericolo di infiltrazioni mafiose desumibile dalle norme sopra citate non è tassativo. Ed invero l’art.10, comma 7, lettera ’c’ del DPR 3 giugno 1998 n.252 (che, come già osservato, è applicabile alla fattispecie ratione temporis) e, oggi (a regime), gli artt. 84, comma 4, lett. ‘d’ ed ‘e’, 91, comma 6, nonchè 93, commi 2 e 4, del codice antimafia lasciano desumere che il provvedimento interdittivo possa basarsi – ove se ne ravvisi la necessità – su considerazioni induttive o deduttive diverse da quelle che hanno spinto il Legislatore ad indicare (con la rilevata precisione) gli “indici presuntivi” fin qui descritti. Tuttavia tali norme non hanno la funzione logico-giuridica, né la forza e l’effetto, di estendere ad libitum la categoria dei “presunti mafiosi” (e delle presunzioni destinate ad accompagnare tali individui). Il complesso di poteri da esse attribuiti ai prefetti non va dunque equiparato ad un’autorizzazione – extra ordinem – a tralasciare di compiere indagini fondate su condotte e/o su elementi di fatto percepibili (e/o ad omettere nel provvedimento interdittivo ogni riferimento ad indici obiettivi rivelatori di pericolosità); né può essere considerato come una sorta di viatico per l’affermazione di un inedito “principio del libero convincimento” in ordine alla pericolosità da infiltrazione mafiosa.

10. – Il pericolo della sussistenza di infiltrazioni mafiose può essere desunto  anche dal fatto che soci e/o amministratori dell’impresa o della società soggetta a controllo “frequentano” soggetti che siano qualificabili, in senso tecnico, "mafiosi" o "presunti mafiosi"). Ma le presunzioni dovranno essere gravi, precise e concordanti. Non è sufficiente, al riguardo, affermare nel provvedimento interdittivo che un determinato soggetto è stato “notato” accompagnarsi con un soggetto malavitoso. Occorrerà precisare la ragione tecnica per la quale quest’ultimo va considerato mafioso (nel senso tecnico fin qui indicato; e non già nel significato sociologico e non giuridico che il termine spesso assume); le circostanze di tempo e di luogo in cui è stato identificato; e le ragioni logico-giuridiche per le quale si ritiene che si tratta non di mero incontro occasionale (o di incontri sporadici), ma di “frequentazione” effettivamente rilevante (ossia di relazione periodica, duratura e costante volta ad incidere sulle decisioni imprenditoriali).

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Per leggere la sentenza clicca sul seguente link:

https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/wcm/idc/groups/public/documents/document/mday/mjuw/~edisp/kwl7bw3c5qnhmcvppxpuhugy7i.html

 

Category: Discrezionalità-Limiti, Informativa antimafia, Sentenze

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