RSSCategory: Informativa antimafia

INTERDITTIVA – ALTRA IMPORTANTE SENTENZA DEL CGA – Non discrezionalità ma “valutazione tecnica”. Insufficienza dei meri sospetti.

13 Gennaio 2018 | By More

L’INTERDITTIVA E’ SOLO REQUISITO PER LA STIPULA E NON DI PARTECIPAZIONE? – CGA, 27.4.2017 n. 201, sentenza, pres. Deodato, est. Gaviano – Con nota dell’avv. Ignazio Scuderi

CGA, decisione 27.4.2017 n. 201, pres. Deodato, est. Gaviano

29 Giugno 2017 | By More

INFORMATIVA ANTIMAFIA INTERDITTIVA E’ LEGITTIMA QUALORA EMERGA UN CONTESTO AMBIENTALE DAL QUALE AFFIORINO EVENTUALI TENTATIVI DI INFILTRAZIONE MAFIOSA – Ordinanza TAR Catania, sez. IV, Ord. 29.05.2017, Pres. Pennetti, Rel. Burzichelli

10 Giugno 2017 | By More

INTERDITTIVE ANTIMAFIA – IL C.G.A. AVVERTE: ai prefetti non è dato “un potere extra ordinem” altrimenti “si perverrebbe ad un aberrante meccanismo … simile a quella su cui si fondava … l’inquisizione medievale” – Sentenza 3.8.2016, pres. Zucchelli, rel. Modica de Mohac

C.G.A. 3.8.2016 n. 257, sentenza, pres. Zucchelli, rel. Modica de Mohac

 

1. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Garanzie in tema di repressione penale – Applicabilità nella sua interezza all'interdittiva – Esclusione.

2. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Garanzie in tema di applicazione delle misure di prevenzione – Applicabilità all'interdittiva a maggior ragione.

3. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Applicazione della interdittiva antimafia – Necessità di particolare prudenza e specifiche cautelare per evitare censure di incostituzionalità o violazione di diritti inviolabili garantiti dal diritto comunitario ed internazionale.

4. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Attuazione del principio di legalità attraverso la delimitazione obiettiva e la definizione rigorosa della fattispecie: artt. 84, comma 4, 85, comma 6, e 91 comma 6, d.lgv. 159/2011.

5. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Individuazione, attraverso gli artt. 84, comma 4, 85, comma 6, e 91 comma 6, d.lgv. 159/2011: a) dei soggetti "mafiosi" e "presunti mafiosi"; b) delle caratteristiche della loro condotta; c) degli elementi utili per la verifica della situazione di pericolo.

6. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Determinazione, attraverso gli artt. 84, comma 4, 85, comma 6, e 91 comma 6, d.lgv. 159/2011, di una nozione tecnica, e non meramente sociologica, di "tentativo di infiltrazione mafiosa" e in base a meri sospetti ("su cui si fondava … l'inquisizione medievale")

7. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Precedenti mafiosi con esiti assolutori o liberatori – Irrilevanza ai fini della pericolosità.

8. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Mera frequentazione di un presunto mafioso o di un soggetto acclaratamente mafioso – Irrilevanza ai fini del contagio.

9. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Possibilità anche di un'interdittiva antimafia basata su considerazioni induttive o deduttive diverse da quelle espressamente individuate dal Legislatore –  Ma inesistenza di un potere extra ordinem imperniato su un inedito "principio del libero convincimento".

10. – Pubblica sicurezza – Interdittiva antimafia – Pericolo di infiltrazioni mafiose – Desumibilità dalle frequentazioni di "mafiosi" o "presunti mafiosi" in senso tecnico – Condizioni.

                                                 

1. – Allo stato del dibattito culturale in tema di misure di prevenzione, non può essere accettata l’idea secondo cui il regime di garanzie che assiste il sistema della repressione penale debba essere esteso ed applicato nella sua totalità al sistema della prevenzione. L’affermazione dell’opposto principio determinerebbe, invero, la (pressocchè totale) soppressione del sistema di prevenzione (o la costruzione di un sistema ibrido, malfunzionante).

2. –  Si applicano a maggior ragione all'interdittiva antimafia le regole valevoli in tema di misure di prevenzione in merito alle quali la Corte Costituzionale ha avuto modo di esprimersi affermando che “Il principio di legalità in materia di prevenzione, il riferimento, cioè, ai ‘casi previsti dalla legge’, lo si ancori all'art. 13 ovvero all'art. 25, terzo comma, Cost., implica che la applicazione della misura, ancorché legata, nella maggioranza dei casi, ad un giudizio prognostico, trovi il presupposto necessario in ‘fattispecie di pericolosità’, previste e  descritte dalla legge; fattispecie destinate a costituire il parametro dell'accertamento giudiziale e, insieme, il fondamento di una prognosi di pericolosità, che solo su questa base può dirsi legalmente fondata” (Corte Cost., n.177/1980).

3. – L’ "interdittiva antimafia" è, infatti, una misura di prevenzione sui generis in quanto – come chiarito dalla Giurisprudenza – finisce inevitabilmente per determinare un pregiudizio anche nei confronti dei soggetti che hanno subito l’azione di infiltrazione, e cioè sia a carico dei soggetti passivi nella c.d. “contiguità soggiacente” (di cui in C.S., VI^, 30.12.2005 n.7619 che ne tratteggia la differenza rispetto alla diametralmente opposta c.d. “contiguità compiacente”) sia – paradossalmente – a carico di soggetti terzi estranei e totalmente incolpevoli; ragion per cui la sua applicazione dev’essere ‘dosata’ con particolari prudenza ed equilibrio ed avvolta da specifiche ‘cautele’ (così, testualmente, in CS, V^, 27.6.2006 n.4135; CS, IV^, 4.5.2004 n.2783) affinchè sia scongiurato il rischio che la normativa che la disciplina subisca censure di incostituzionalità o determini procedimenti di infrazione per violazione di diritti inviolabili garantiti dal diritto comunitario ed internazionale, o venga comunque censurata dagli Organi della Giustizia comunitaria.

4. – Il Legislatore, consapevole della potenza dirompente dell’istituto interdittivo e della sua concreta idoneità (o tendenza) a ledere taluni fondamentali ‘diritti di libertà’, in conformità al principio di tipicità, fin da tempo risalente, ha delimitato la fattispecie di pericolo con una certa precisione, individuando ed indicando, ai fini della corretta applicazione delle norme che disciplinano l’utilizzazione della misura in questione, gli indici rivelatori o sintomatici della esistenza di infiltrazioni mafiose, in precedenza identificati dall'art. 4 d.lgv. 490/1994 e dall'art. 10, comma 7, del d.P.R. 252/1998, ed ora individuati nel codice antimafia dagli artt. 84, comma 4, 85, comma 6, e 91 comma 6. Sicchè, in base a tali norme, è possibile pervenire ad una delimitazione obiettiva e ad una definizione rigorosa della fattispecie indicata come “tentativo di infiltrazione mafiosa” e ad una nozione tecnica di tale fattispecie.

5. – Il Legislatore, con gli artt. 4 d.lgv. 490/1994 e 10, comma 7, del d.P.R. 252/1998, ed ora con gli artt. 84, comma 4, 85, comma 6, e 91 comma 6, del codice antimafia, ha individuato ed indicato: – sia i soggetti che per precedenti penali, carichi pendenti o posizione giudiziaria, o per altre circostanze ad essi riferibili (ad esempio la “convivenza” o la “coabitazione”) siano da considerare “mafiosi”, o comunque in qualche modo “contigui alla mafia” (o ad altre organizzazioni criminali equiparate) e dunque ‘presunti mafiosi’ ed intrinsecamente pericolosi; – sia le caratteristiche oggettive e soggettive che la loro condotta deve presentare per essere considerata come indice rivelatore di pericolosità; – sia, ancora, gli elementi che devono essere valutati al fine di verificare la effettiva e concreta sussistenza della situazione di pericolo o di rischio che giustifica l’adozione della misura.

6. – Dall’analisi e dalla ricostruzione sistematica della predetta (disorganica e frammentaria) normativa è possibile pervenire ad una delimitazione obiettiva e ad una definizione rigorosa della fattispecie indicata come “tentativo di infiltrazione mafiosa” e ad una nozione tecnica di tale fattispecie. Se infatti prevalesse una nozione meramente sociologica (anzicchè tecnicamente giuridica) del fenomeno associativo mafioso, si finirebbe per giungere ad una estensione extra ordinem (incontrollata ed incontrollabile) del concetto di ‘pericolosità sociale’ che potrebbe innescare meccanismi abnormi e perversi dei quali potrebbero finire per beneficiare, paradossalmente, gli stessi gruppi criminali; se fosse possibile qualificare "mafioso" un soggetto sulla scorta di meri sospetti si perverrebbe ad un aberrante meccanismo di estensione a catena della pericolosità simile a quella su cui si fondava … l'inquisizione medievale.

7. – Nel rispetto dei principi di legalità e di certezza del diritto – per essere considerato mafioso non è (e non può essere) sufficiente aver subìto – con l’accusa di cui all’art.416 bis del codice penale – un procedimento penale poi conclusosi con un proscioglimento o con una assoluzione; o un ‘procedimento di prevenzione antimafia’ conclusosi – magari svariati anni prima – con formula liberatoria, o avere subìto una ‘misura di prevenzione’ annullata per difetto dei presupposti applicativi; o essere stato ‘illo tempore’ condannato per associazione di stampo mafioso (o per concorso esterno in associazione mafiosa) pur avendo ormai scontato la pena ed ottenuto la riabilitazione (così, pacificamente, in: CS, VI^, 3.9.2009 n.5194; CS, V^, 26.11.2008 n.5846; CS, VI^, 9.9.2008 n.4306; CS., V^, 31.5.2007 n.2828; CS.VI^, 25.9.2008 n.5780). Similmente non è sufficiente far parte (o intrattenere rapporti di amicizia con un membro) di una famiglia che annoveri fra i suoi componenti uno o più soggetti che abbiano subìto i predetti procedimenti con gli esiti assolutori o liberatori sopra indicati.

8. – La mera frequentazione di un presunto mafioso (ma tale considerazione vale anche per l’ipotesi di mera frequentazione di un soggetto acclaratamente mafioso) non può determinare il ‘contagio’; altrimenti  si determinerebbe una catena infinita di presunzioni atte a colpire un numero enorme di soggetti senza alcuna seria valutazione in ordine alla loro concreta vocazione criminogena con instaurazione di un regime di polizia.

9. – L’elenco degli elementi da cui desumere la sussistenza della situazione di pericolo di infiltrazioni mafiose desumibile dalle norme sopra citate non è tassativo. Ed invero l’art.10, comma 7, lettera ’c’ del DPR 3 giugno 1998 n.252 (che, come già osservato, è applicabile alla fattispecie ratione temporis) e, oggi (a regime), gli artt. 84, comma 4, lett. ‘d’ ed ‘e’, 91, comma 6, nonchè 93, commi 2 e 4, del codice antimafia lasciano desumere che il provvedimento interdittivo possa basarsi – ove se ne ravvisi la necessità – su considerazioni induttive o deduttive diverse da quelle che hanno spinto il Legislatore ad indicare (con la rilevata precisione) gli “indici presuntivi” fin qui descritti. Tuttavia tali norme non hanno la funzione logico-giuridica, né la forza e l’effetto, di estendere ad libitum la categoria dei “presunti mafiosi” (e delle presunzioni destinate ad accompagnare tali individui). Il complesso di poteri da esse attribuiti ai prefetti non va dunque equiparato ad un’autorizzazione – extra ordinem – a tralasciare di compiere indagini fondate su condotte e/o su elementi di fatto percepibili (e/o ad omettere nel provvedimento interdittivo ogni riferimento ad indici obiettivi rivelatori di pericolosità); né può essere considerato come una sorta di viatico per l’affermazione di un inedito “principio del libero convincimento” in ordine alla pericolosità da infiltrazione mafiosa.

10. – Il pericolo della sussistenza di infiltrazioni mafiose può essere desunto  anche dal fatto che soci e/o amministratori dell’impresa o della società soggetta a controllo “frequentano” soggetti che siano qualificabili, in senso tecnico, "mafiosi" o "presunti mafiosi"). Ma le presunzioni dovranno essere gravi, precise e concordanti. Non è sufficiente, al riguardo, affermare nel provvedimento interdittivo che un determinato soggetto è stato “notato” accompagnarsi con un soggetto malavitoso. Occorrerà precisare la ragione tecnica per la quale quest’ultimo va considerato mafioso (nel senso tecnico fin qui indicato; e non già nel significato sociologico e non giuridico che il termine spesso assume); le circostanze di tempo e di luogo in cui è stato identificato; e le ragioni logico-giuridiche per le quale si ritiene che si tratta non di mero incontro occasionale (o di incontri sporadici), ma di “frequentazione” effettivamente rilevante (ossia di relazione periodica, duratura e costante volta ad incidere sulle decisioni imprenditoriali).

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Per leggere la sentenza clicca sul seguente link:

https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/wcm/idc/groups/public/documents/document/mday/mjuw/~edisp/kwl7bw3c5qnhmcvppxpuhugy7i.html

 

4 Novembre 2016 | By More

INTRODUZIONE DEL PRESIDENTE DEL TAR CATANIA DOTT. ANTONIO VINCIGUERRA

Antonio Vinciguerra

Presidente del T.A.R. Sicilia – Sezione di Catania

INTRODUZIONE

 

Nella ricerca di garanzie a tutela della legalità nelle procedure di gara per l’aggiudicazione di appalti pubblici la vigente normativa lascia ampio spazio alla discrezionalità delle amministrazioni nella valutazione degli indizi utili a determinare le interdittive delle imprese sospette di rapporti con la criminalità e la conseguente gestione commissariale delle stesse.

Se da un lato vengono alla luce le esigenze di legalità e di trasparenza dell’azione dei pubblici poteri, nonché le esigenze della sicurezza, dall’altro sorge la necessità di contemperamento con i valori costituzionali protetti.

Il Consiglio di Stato, nell’ambito della sentenza n. 868 del 29 febbraio scorso, ha fornito alcuni chiarimenti in merito all’interdittiva antimafia.

La pronuncia ha ricordato che costante giurisprudenza, riguardo l’interdittiva antimafia, a rilevato l’ampiezza dei parametri fissati dalla legge, il carattere preventivo della misura e la natura meramente indiziaria dei presupposti di fatto che la legge richiede per la sua adozione.

Il collegio ha quindi ritenuto che per salvaguardare i principi di legalità e di certezza del diritto  l’ampia discrezionalità di apprezzamento riservata al Prefetto può essere sindacata dal giudice amministrativo solo nei limiti di evidenti vizi di eccesso di potere per manifesta illogicità e erronea e travisata valutazione dei presupposti e che in ogni caso la suddetta discrezionalità per quanto ampia, non possa in ogni caso essere esercitata sulla base del mero sospetto, ma previa individuazione di idonei e specifici elementi di fatto, che singolarmente o nel loro complesso siano obiettivamente sintomatici e rivelatori del rischio di collegamenti con la criminalità organizzata

Aspetti messi in lucealtresì nella sentenza n. 1102 del 2013 del T.A.R. di Catania.

La pronuncia ha riconosciuto che l’informativa antimafia atipica prevista dall’art. 10 del D.P.R. 252/1998 non richiede la prova certa e sicura dell’avvenuta infiltrazione mafiosa nella gestione dell’impresa, bensì, al contrario, la disposizione di legge è strutturata in modo da attribuire rilievo a molteplici indizi che possano far desumere l’esistenza di un rischio di infiltrazione ad opera della criminalità organizzata.

In proposito la sentenza n. 2682 del 2012 del T.A.R. di Napoli ha chiarito, con pronunciamento inequivocabile, che l’ informativa interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e preventiva, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste. Ciò che deve essere provato, infatti, non è l’intervenuta infiltrazione mafiosa, ma solo la sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il pericolo di ingerenza. L’insieme degli elementi raccolti, poi, non vanno riguardati in modo atomistico, ma unitario, sì che la valutazione deve essere effettuata in relazione ad uno specifico quadro indiziario nel quale ogni elemento acquista valenza nella sua connessione con gli altri.Tale atipicità degli elementi valutabili è il diretto frutto della ratio dell’istituto, da ravvisarsi nella necessità di anticipare la soglia di difesa sociale con una tutela avanzata nel contrasto alla criminalità organizzata, segnatamente nell’ambito degli appalti pubblici, per la sensibilità della materia in sé e dei valori coinvolti (effettività della tutela della concorrenza nel mercato, genuinità della scelta dell’ente aggiudicatore, tutela della finanza pubblica, ecc.).

Afferma la decisione n. 3104 del 2011 della Terza Sezione del Consiglio di Stato che coerentemente il Prefetto, nel rendere le informazioni antimafia, può basarsi non su specifici elementi, bensì effettuare la propria valutazione sulla scorta di un quadro di indizi sufficientemente chiaro, preciso e non arbitrario, nel quale assumono rilievo preponderante fattori che inducano a ritenere che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni.

I pregressi indizi di contiguità con la criminalità organizzata possono essere superati solo se successivi comportamenti (riferibili ad una diuturna trasparente attività imprenditoriale) siano tali da scolorirne la rilevanza. Tuttavia, il mero trascorrere del tempo non può in quanto tale automaticamente fungere da fattore di riabilitazione. Nelle ipotesi in cui gli indizi addottati, sebbene non attuali rationetemporis, ma comunque non eccessivamente lontani, non esprimano una non lieve compromissione rispetto ad ambienti e logiche malavitose, rispetto alle quali, nonostante il trascorrere del tempo, non sia fornita alcuna riprova di una successiva dissociazione, non vi è ragione di ritenere implausibile una valutazione di permanenza di una condizione di contiguità mafiosa (in questo senso è la sentenza n. 1835 del 2010 del TAR di Napoli).

Ampia discrezionalità di valutazione, dunque, a fronte delle garanzie costituzionali a tutela dell’impresa e a salvaguardia dei livelli occupazionali e della produttività. Argomenti che costituiscono il tema dell’odierno dibattito.

12 Maggio 2016 | By More

Il ruolo dell’ANAC e dei Prefetti nella prosecuzione del rapporto contrattuale dell’impresa oggetto di interdittiva antimafia o degli ammimistratori imputati di reati corruttivi – Relazione del Presidente del TAR Calabria Avv. Vincenzo Salamone

Vincenzo Salamone

Presidente del Tribunale amministrativo regionale 

della Calabria.

Il ruolo dell’ANAC e dei Prefetti nella prosecuzione del rapporto contrattuale dell’impresa oggetto di interdittiva antimafia o degli ammimistratori imputati di reati corruttivi.

Introduzione al tema

La relazione ha ad oggetto l’applicazione delle norme contenute all’articolo 32 del decreto legge 24 giugno 2014 numero 90, convertito dalla legge l1 agosto 2014 numero 114, che contiene misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrati e per l’efficienza degli uffici giudiziari

La norma è evidentemente finalizzata a consentire la realizzazione nei tempi programmati delle opere indispensabili per la manifestazione Expo 2015.

Ciò a seguito di una serie di inchieste penali che avevano sostanzialmente accertato, anche a seguito delle ammissioni di alcuni imprenditori, che alcune opere pubbliche erano state affidate con procedure concorsuali nelle quali erano stati commessi reati di corruzione.

A fronte del rischio di risolvere i contratti e di procedere a nuovi affidamenti, che avrebbero inevitabilmente allungato i tempi di realizzazione delle opere con il rischio di compromettere la manifestazione, il Governo optò per l’introduzione di un modello organizzativo che da un lato consentiva la prosecuzione delle opere da parte delle imprese, dall’altro sottoponeva le predette imprese ad amministrazione straordinaria, quanto meno con riguardo alle attività contrattuali oggetto di indagini penali anche per i sospetti di alterazione delle procedure di affidamento e comunque di gestione delle opere stesse.

A questa specifica ipotesi se ne accompagna un’altra, per certi versi più complessa, che riguarda le imprese raggiunte da interdittive antimafia e che, sulla base della normativa oggi vigente avrebbe obbligato le amministrazioni appaltanti a risolvere i contratti…

Si tratta di una: normativa dai caratteri emergenziali che attribuisce poteri extra ordinem ripartiti tra l’Autorità nazionale anticorruzione e l’Amministrazione dell’Interno, e segnatamente i prefetti.

La ratio legis di tali misure consiste, pertanto, nel garantire che, in presenza di fatti che abbiano determinato discostamenti rispetto agli standard di legalità e correttezza nella procedura di aggiudicazione, l’esecuzione del contratto pubblico non ne sia pregiudicata, senza, purtuttavia, che quest’ultima esigenza si traduca in un vantaggio per l’autore dei fatti criminali consentendogli, dopo essersi aggiudicato illecitamente l’appalto, di conseguire il profitto del proprio illecito.

L’intervento del potere pubblico nei confronti dell’organizzazione e dell’attività degli operatori economici privati, qualificato di per sé come straordinario, è perciò volto unicamente alla tutela dell’integrità delle risorse pubbliche conferite in costanza del contratto pubblico, ed è perciò necessariamente limitato temporalmente all’esecuzione dello stesso, così da non ledere più del necessario il principio costituzionale dell’autonomia d’impresa (art. 41 della Costituzione).:

Il nuovo istituto del “commissariamento” dell’impresa si colloca, quindi, tra gli strumenti di diritto amministrativo tramite cui si realizza un intervento pubblico nell’attività d’impresa, per esigenze di tutela di interessi sociali rilevanti o come misura di contrasto all’economia della criminalità organizzata.

All’interno della disciplina di responsabilità giuridica degli enti era d’altronde già prevista la possibilità che, a seguito di emissione di misura interdittiva conseguente alla condanna penale, fosse nominato un commissario giudiziale che presiedesse alla gestione dell’impresa (articolo 15 decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231).

La disciplina del commissariamento d’impresa per fatti di corruzione opera, invece, medio tempore, in assenza di un accertamento giudiziale, sulla base delle sole valutazioni delle autorità amministrative coinvolte, risultando, pertanto, particolarmente utile nella prospettiva di contrasto in via amministrativa e preventiva della corruzione.

L’intento è quello di ripercorrere gli istituti giuridici introdotti dalla predetta normativa, anche al fine di individuare un momento di raccordo con il complesso sistema delle procedure di affidamento di realizzazione delle opere pubbliche, ma non solo, in quanto la normativa predetta trova applicazione anche per altre fattispecie contrattuali o attinenti alla concessione di servizi pubblici, in un particolare momento; quello nel quale

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 il Parlamento ed il Governo hanno introdotto norme di sistema fortemente innovative sul piano della disciplina dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione, e mi riferisco in particolar modo alla disciplina contenuta. nel decreto legislativo n. 50 del 2016, meglio noto come codice dei contratti della pubblica amministrazione.

I presupposti per le misure straordinarie

L’art. 32 del decreto-legge n. 90/2014 ha attribuito al Presidente dell’ANAC il potere di richiedere al Prefetto l’adozione di misure dirette ad incidere sui poteri di amministrazione e gestione dell’impresa coinvolta in procedimenti penali per gravi reati contro la pubblica amministrazione o nei cui confronti emergano situazioni di anomalia sintomatiche di condotte illecite o criminali.

Come già accennato la ratio dell’intervento legislativo appare rivolta al principale obiettivo di far sì che, in presenza di gravi fatti o di gravi elementi sintomatici, che hanno, rispettivamente, o già determinato ricadute penali o sono comunque suscettibili di palesare significativi e gravi discostamenti rispetto agli standard di legalità e correttezza, l’esecuzione del contratto pubblico non venga  a soffrire di tale situazione.

La prioritaria istanza a cui ha corrisposto il legislatore è quella di porre rimedio all’affievolimento dell’efficacia dei presidi legalitari da cui appaiono afflitte le procedure contrattuali, senza che ne risentano i tempi di esecuzione della commessa pubblica, finendo col coniugare, dunque, entrambe le esigenze.

Ipotesi A.

La misura che viene attivata dall’ANAC è finalizzata a garantire la continuità dell’esecuzione del contratto pubblico (del singolo contratto e non della complessiva attività di impresa) nei tempi previsti.

L’impresa viene raggiunta dalla misura strumentalmente a questo scopo, come dimostrano le espressioni letterali contenute nelle lettere a) e b) del comma 1, laddove l’intervento sull’impresa appaltatrice è sempre disposto «limitatamente alla completa esecuzione del contratto d’appalto»; sicché l’intervento legislativo si configura per quest’aspetto effettivamente come una misura ad contractum.

Le circostanze suscettibili di dare luogo ai provvedimenti amministrativi di cui all’art. 32, collima 1, del citato decreto-legge n. 90/2014 debbono essere individuate in fatti riconducibili:

– a reati contro la pubblica amministrazione, – nel caso in cui l’Autorità giudiziaria proceda per i delitti – previsti dal codice penale – di concussione (articolo 317), corruzione per l’esercizio della funzione (articolo 318), corruzione semplice e aggravata per atto contrario ai doveri d’ufficio (articoli 319 e 319-bis), corruzione in atti giudiziari (articolo 319-ter), induzione indebita a dare o promettere utilità (articolo 319-quater), corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio (articolo 320), istigazione alla corruzione (articolo 322), peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri (articolo 322-bis), traffico di influenze illecite (articolo 346- bis), turbata libertà degli incanti (articolo 353) e del procedimento di scelta del contraente (articolo 353-bis);

– a vicende e situazioni che sono propedeutici alla commissione di questi ultimi o che comunque sono ad esse contigue (a titolo esemplificativo, ai reati di truffa aggravata di cui all’art. 640-bis c.p., di riciclaggio (art. 648-bis c.p.), a quelli di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ovvero con altri artifici, l’emissione di fatture e altri documenti per operazioni inesistenti, l’occultamento o la distruzione di documenti contabili finalizzata all’evasione fiscale (articoli 2, 3, 8 e 10 del decreto legislativo n. 74/2000), i delitti di false comunicazioni sociali (articoli 2621 e 2622 c.c.).

Inoltre, non si esclude che la presenza dì situazioni anomale possa essere ricondotta a fattispecie distorsive della regolarità e trasparenza delle procedure di aggiudicazione, quali, ad esempio: la comprovata sussistenza di collegamenti sostanziali tra imprese partecipanti alla gara; la rilevata sussistenza di accordi di desistenza artatamente orientati a favorire l’aggiudicazione nei confronti di un’impresa; la accertata violazione dei principi che sorreggono la trasparenza delle procedure ad evidenza pubblica, qualora da elementi di contesto possa formularsi un giudizio di probabile riconducibilità del fatto a propositi di illecita interferenza.

Il comma l richiede, inoltre, che gli elementi riscontrati siano «sintomatici» di condotte illecite o eventi criminali.

La norma non subordina, dunque, l’applicazione delle misure all’acquisizione di una certezza probatoria, tipica del procedimento penale.

E’ sufficiente, piuttosto, che gli elementi riscontrati siano indicativi della probabilità dell’esistenza delle predette condotte ed eventi, probabilità che deve essere ritenuta sulla base di una valutazione discrezionale delle circostanze emerse, le quali devono essere, comunque, connotate da tratti di pregnanza ed attualità.

Il secondo ordine di presupposti, riguarda, invece, il grado di rilevanza delle fattispecie elencate alle lettere a) e b) del ricordato comma 1.

Lo stesso comma 1 stabilisce che, perché possa essere irrogata una delle misure in argomento, le predette fattispecie devono essere connotate da fatti accertati e gravi.

Nel contesto delle misure introdotte dall’art. 32 – destinate ad intervenire in un momento antecedente al giudicato – devono considerarsi «fatti accertati» quelli corroborati da riscontri oggettivi, mentre il requisito della «gravità», richiamato anche dal comma 2, implica che i fatti stessi abbiano raggiunto un livello di concretezza tale da rendere probabile un giudizio prognostico di responsabilità nei confronti dei soggetti della compagine di impresa per condotte illecite o criminali.

Il presupposto oggettivo per l’emanazione di tali misure cautelari coincide, pertanto, non solo con la commissione di reati contro la pubblica amministrazione — di cui sia anche disponibile una sola prova indiziaria — ma anche con vicende propedeutiche o contigue alla commissione di questi ultimi e, infine, con fattispecie distorsive della regolarità e trasparenza delle procedure di aggiudicazione che pure non hanno, o non hanno avuto, conseguenze penali.

Le misure di intervento nei confronti dell’impresa possono essere emanate a seguito di provvedimenti penali che abbiano accertato, anche in via cautelare, responsabilità penali della gestione dell’impresa in riferimento all’affidamento pubblico, ma anche sulla mera rilevazione da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, ora dotata anche dei poteri in materia di accertamento e vigilanza precedentemente detenuti dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, di una situazione anomala e deficitaria sul piano dell’integrità dell’aggiudicatario del contratto pubblico.

Non è perciò necessaria l’acquisizione di una certezza probatoria di tipo giudiziale, essendo piuttosto sufficienti elementi indicativi di tali fattispecie, secondo una valutazione discrezionale da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione e del Prefetto territorialmente competente.

Devono, quindi, considerarsi fatti accertati quelli sostenuti da riscontri oggettivi tali da far ritenere probabile un giudizio prognostico di responsabilità nei confronti della governance d’impresa per condotte criminali .

L’accertamento e la valutazione delle circostanze predette non può prescindere da un passaggio procedimentale di interlocuzione con gli interessati (intesi come stazione appaltante, impresa direttamente interessata alla misura in quanto destinataria potenziale ed eventualmente imprese terze interessate a sostituire quest’ultima nell’esecuzione del contratto) e segnatamente dal rigoroso rispetto degli adempimenti procedimentali partecipativi previsti dagli artt. 7 e seguenti della legge n. 241 del 1990.

Veniamo ad esaminare i profili problematici dei presupposti delle misure in dettaglio.

La prima questione attiene a comprendere che cosa si intende per pendenza di un procedimento penale per fatti corruttivi.

Occorre innanzitutto chiedersi quale sia il significato dell’espressione “Nell’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria proceda….”.

Il riferimento all’autorità giudiziaria (che, secondo la terminologia  processual-penalistica, comprende sia il pubblico ministero che il giudice) configura come non necessaria la pendenza di un processo penale.

E’, infatti, sufficiente la pendenza di un procedimento penale, anche nella fase delle indagini preliminari, a partire dall’iscrizione della notitia criminis nel registro delle notizie di reato ex articolo 335 c.p.p.

La disposizione in esame non solo non richiede, quindi, la pronuncia di una sentenza di condanna, anche non definitiva, ma neppure l’esercizio dell’azione penale e, quindi, l’acquisizione della qualifica di imputato da parte della persona coinvolta.

In un Dossier del Servizio Studi del Senato si parla di misure per la gestione di imprese aggiudicatarie di appalti pubblici i cui titolari od amministratori siano persone”indagate per delitti contro la P.A.”.

Inoltre nello stesso documento si spiega che l’articolo 32 prevede, anziché l’amministrazione straordinaria temporanea, la possibile nomina di esperti da parte del Prefetto per svolgere funzioni di sostegno e monitoraggio dell’impresa, “se le citate indagini penali” riguardano membri di organi societari diversi da quelli dell’impresa aggiudicataria dell’appalto.

E’ necessario, tuttavia, ricordare che la pendenza del procedimento penale può portare all’attivazione della procedura amministrativa solo in presenza di “fatti gravi ed accertati”.

Occorre, poi, precisare quali debbano essere le persone fisiche sottoposte a procedimento penale, al fine di consentire al Presidente dell’ANAC l’attivazione della procedura.

A questi fini soccorre la lettera a) del comma 1, laddove, a proposito dell’amministrazione temporanea e straordinaria, si parla di “rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto”.

Deve, pertanto, trattarsi di soggetti che compongono organi sociali,

Il riferimento ai componenti degli organi sociali — se intesi stricto sensu – costituirebbe un importante tratto distintivo tra la norma in esame e l’art 5 del d.lg. 231/2001, che, c.9, contempla i c.d. soggetti apicali, i quali non necessariamente fanno parte degli organi sociali (si pensi ai titolari di funzioni di direzione) e neppure comprendono i sindaci.

Ulteriore problema sulla nozione in discorso è posto dal comma 8, per cui le misure di sostegno e monitoraggio ivi previste possono essere disposte se le indagini penali riguardano “organi societari diversi da quelli indicati nel comma 1”.

L’espressione sembra doversi intendere, invece, riferita agli organi societari diversi da quelli titolari di poteri di gestione e cioè ai sindaci e ai soci.

Altro profilo problematico riguarda la individuazione delle situazioni anomale e sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali

Insufficiente in termini di definizione, in ottica di certezza del diritto e di tutela del diritto di difesa dell’impresa, è il secondo presupposto (comma 1, lett. b.) e cioè sul cosa deve intendersi per “rilevate situazioni anomale” e comunque “sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali”.

In sede parlamentare, nel corso dei lavori di conversione del D.L., è stata proposta l’eliminazione del presupposto in esame, anche sulla base delle osservazioni critiche di Confmdustria.

Infine il terzo presupposto riguarda i “fatti gravi e accertati”

Tale requisito, come detto, è da considerarsi aggiuntivo rispetto a quelli appena menzionati.

Si tratta di requisito pregnante.

Il D.L. lo richiama espressamente come fondamento della proposta del Presidente dell’ANAC: sia con riferimento all’ipotesi di pendenza di un procedimento penale per fatti corruttivi, sia con riguardo all’ipotesi alternativa delle situazioni anomale e sintomatiche di illecito.

Per quanto riguarda la decisione del Prefetto, l’articolo 32 riferisce la (sola) valutazione di “particolare” gravità ai fatti oggetto dell’indagine penale: tuttavia appare prevalente il riferimento alla circostanza che il Prefetto debba accertare i “presupposti indicati al comma 1”.

Ipotesi B.

Veniamo all’altra ipotesi, quella connessa all’intervenuta interdittiva antimafia da parte del prefetto.

Come detto, il comma 10 si basa, invece, su diversi presupposti.

Oltre all’emanazione dell’interdittiva deve, inoltre, sussistere (ed essere motivata senza ricorrere a formule di stile) “l’urgente necessità di assicurare il completamento dell’esecuzione del contratto, ovvero la sua prosecuzione al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell’integrità dei bilanci pubblici”.

Tale ultimo riferimento alla necessità di assicurare l’esecuzione o la prosecuzione del contratto non è contenuto nei commi 1 e 2.

Nelle seconde linee guida dell’ANAC si legge: “Il citato comma 10 configura, infatti, il completamento dell’esecuzione contrattuale o la sua prosecuzione come un mezzo per soddisfare interessi pubblici di rango più elevato, tassativamente elencati dalla norma, e cioè:

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– la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali. Con tale espressione il Legislatore ha voluto fare riferimento all’ esigenza di evitare interruzioni nell’erogazione di prestazioni che risultano indispensabili per consentire ad una collettività o a tipologie di utenti di poter esercitare diritti primari costituzionalmente garantiti quali la libertà di circolazione, il diritto alla salute ecc.;

– la salvaguardia dei livelli occupazionali. L’espressione “livelli occupazionali” fa riferimento in questo caso alla necessità di mantenere in essere un numero consistente di posti di lavoro, la cui perdita inciderebbe sul livello complessivo della popolazione occupata in un determinato contesto geografico (ad esempio nel territorio provinciale) o in un determinato comparto produttivo. Una lettura diversa dell’ art. 32, comma 10, del D.L. n. 90/2014 rischierebbe, infatti, di rivelarsi poco coerente con il principio di ragionevolezza. Essa, infatti , finirebbe per ammettere la possibilità di derogare alla regola generale della risoluzione del contratto con l’impresa contigua alla criminalità organizzata (e quindi di accettare una minore tutela dell ‘interesse “sicurezza pubblica”) al solo fine di tutelare posizioni poco più che individuali.

— l’integrità dei bilanci pubblici. E’ di tutta evidenza che la norma intende salvaguardare non la mera capacità dell’impresa di produrre reddito e, quindi, di generare un potenziale gettito tributario. Se così fosse si dovrebbe ammettere che l’esigenza di garantire “l’integrità dei bilanci pubblici” ricorrerebbe pressoché ogni qual volta un’impresa è colpita da un’informazione antimafia interdittiva. Si è, invece, dell’avviso che l’art. 32, comma 10, faccia riferimento ad un interesse più “qualificato” e concreto, consistente nella necessità di evitare che l’interruzione di determinate attività implichi un danno diretto ed immediato alle entrate fiscali e quindi alle complessive esigenze della finanza pubblica (si pensi al caso, già sperimentato nella pratica, di attività di gestione dei giochi leciti sottoposte a concessione dell’Amministrazione finanziaria). Né si può escludere, salvo verificarne in concreto l’effettività, che un tale interesse possa essere messo a rischio nel caso in cui la realizzazione di un’opera comporti un consistente impiego di risorse pubbliche che potrebbe essere compromesso da un’eccessiva dilatazione dei tempi di esecuzione (ad esempio nel caso di Expo). Da quanto detto risulta evidente che esula dalle finalità perseguite dall’ art. 32, comma M, del D.L. n. 90/2014 il mero interesse dell’impresa a vedersi applicata una delle misure straordinarie in argomento, nell’intento di continuare nel rapporto con la pubblica amministrazione, sotto controllo di legalità, evitando cosi di subire l’interruzione del contratto con le conseguenti ricadute sul piano economico ma anche del venir meno di un requisito per una futura, successiva qualificazione”.

È sorto il dubbio se nel perimetro della straordinaria e temporanea gestione di cui all’art. 32, comma 1, lett. b), del d.l. 90/2014 rientri la mera aggiudicazione di una gara finalizzata alla stipula di una Convenzione ex art. 26 L. n. 488/1999 (aggiudicazione disposta prima dell’adozione dell’interdittiva antimafia, ma senza che sia intervenuta la stipula).

Infatti altro problema di estrema delicatezza riguarda il presupposto dell’esistenza di un rapporto contrattuale in corso.

In riscontro alla richiesta di parere, relativamente ai quesiti sopra richiamati, si è correttamente osservato che la fattispecie concreta sottoposta da CONSIP SpA all’esame di ANAC non è suscettibile di rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 32, commi 1 e 10, d.l. 90/2014, non essendo ancora intervenuta la stipula del contratto, la disciplina delle misure straordinarie presupponendo che il rapporto contrattuale tra la stazione appaltante e l’operatore economico sia in corso di esecuzione (ANAC parere 21 ottobre 2015).

L’alternativa scelta di proseguire il contratto con altro concorrente in applicazione dell’articolo 140 del decreto legislativo numero 163 del 2006

Ipotesi A (la sostituzione dell’aggiudicatario originario)

Va richiamata la giurisprudenza che si era formata in ordine alla fase procedimentale disciplinata dall’art. 140 d.lgs. cit., che è stata configurata come un segmento di un’unica procedura di affidamento, avviata con la pubblicazione del bando.

La disposizione consente alla stazione appaltante, in presenza degli eventi ivi tassativamente dettagliati (che impediscono all’impresa inizialmente aggiudicataria la realizzazione delle opere oggetto dell’appalto), di interpellare progressivamente le imprese che, nella graduatoria, seguono quella appaltatrice al fine di affidare a quella disponibile il completamento dei lavori “alle medesime condizioni già proposte dall’originario aggiudicatario in sede di offerta”.

(Cons. St., sez. VI, 14 novembre 2012, n. 5747).

Sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo, dunque, l’azione amministrativa preordinata alla scelta dell’impresa alla quale affidare il completamento dei lavori in seguito alla risoluzione del contratto d’appalto per uno degli eventi tassativamente elencati nella disposizione in esame risulta vincolata dal rispetto delle risultanze della gara inizialmente bandita, restando preclusi sia l’interpello di imprese diverse da quelle utilmente classificatesi all’esito della selezione già svolta, sia la modificazione delle condizioni del contratto (Consiglio di Stato, sez. III, 13 gennaio 2016, n. 76).

Ipotesi B (la prosecuzione del rapporto con il medesimo raggruppamento di imprese ma in composizione differente).

Con riguardo ai raggruppamenti temporanei di imprese la giurisprudenza, con riguardo alla disciplina dell’art. 37 del d.lgs. n. 163 del 2006, ha ritenuto che:

– il generale divieto di modificazione della composizione soggettiva dei raggruppamenti temporanei è volto a garantire l’amministrazione appaltante in ordine alla verifica dei requisiti di idoneità morale, tecnico-organizzativa ed economica, nonché alla legittimazione delle imprese che hanno partecipato alla gara, oltre che a presidiare la complessiva serietà delle imprese che partecipano alla gara, onde assicurare l’affidabilità del futuro contraente dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, n. 3344/2014);

– ne deriva che, una volta che un raggruppamento temporaneo di imprese abbia partecipato a una gara, non è possibile alcuna modifica, tanto meno soggettiva, in ordine alla composizione del raggruppamento ed a quanto dichiarato in sede di gara con l'”impegno presentato in sede di offerta”, di cui parla il comma 9 dell’art. 37 (Cons. Stato, sez. IV, n. 3344/2014);

– il divieto di modificare la composizione dei raggruppamenti temporanei riguarda l’arco intero della procedura di evidenza pubblica (Cons. Stato, sez. IV, n. 3344/2014), mentre le eccezioni contemplate ai commi 18 e 19, concernenti il fallimento del mandante e del mandatario, la morte, l’interdizione o inabilitazione dell’imprenditore individuale, nonché le ipotesi previste dalla normativa antimafia, riguardano evenienze relative alla successiva fase dell’esecuzione del contratto (cfr. Cons. Stato, V, n. 4350/2003, che, pronunciandosi con riferimento al disposto dell’art. 94 del D.P.R. n. 554/99, ratione temporis vigente, ha puntualizzato che ogni eccezione al principio di immodificabilità dell’offerta e della composizione dei partecipanti dopo l’offerta non può che essere applicata restrittivamente alle sole ipotesi espressamente disciplinate dal legislatore, tra le quali non rientra il caso del fallimento della mandataria di una ATI intervenuto in corso di gara);

– l’illegittima modificazione soggettiva del raggruppamento produce, sul piano pubblicistico, le conseguenze disciplinate dall’art. 37, co. 10, d.lgs. n. 163/2006, ossia, a seconda dei casi, l’esclusione dalla procedura, l’annullamento dell’aggiudicazione e la nullità del contratto eventualmente stipulato (Cons. Stato, sez. IV, n. 6446/2012);

– il divieto di modificazione della compagine delle associazioni temporanee di imprese o dei consorzi nella fase procedurale corrente tra la presentazione delle offerte e la definizione della procedura di aggiudicazione, è finalizzato a impedire l’aggiunta o la sostituzione di imprese partecipanti all’a.t.i. o al consorzio, e non anche a precludere il recesso di una o più di esse, a condizione che quelle che restano a farne parte risultino titolari, da sole, dei requisiti di partecipazione e di qualificazione e che ciò avvenga per esigenze organizzative proprie dell’A.t.i. o Consorzio, e non invece per eludere la legge di gara e, in particolare, per evitare una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti in capo al componente dell’a.t.i. venuto meno per effetto dell’operazione riduttiva (Cos. Stato, Ad .Plen., n. 8/2012;. Consiglio di Stato, sez. V, 20/01/2015n. 169).

La predetta giurisprudenza è sostanzialmente applicabile anche alle analoghe disposizioni introdotte dal nuovo Codice dei contratti pubblici (D. lgs. n. 50 del 2016, artt. 110 e 48, sopra riportati).

In particolare va rimarcato che l’alternatività tra la scelta di proseguire il contratto con il medesimo imprenditore aggiudicatario dell’appalto ovvero di procedere alla risoluzione del contratto stesso e all’aggiudicazione dell’appalto della concessione ad un soggetto individuato con le modalità di cui all’articolo 110 del nuovo codice dei contratti della pubblica amministrazione, rende necessario un momento di raccordo tra l’ANAC ed i prefetti con le stazioni appaltanti in quanto la valutazione e l’esito della stessa potrebbero avere effetti particolarmente rilevanti sull’amministrazione competente all’aggiudicazione dell’appalto ovvero al rilascio della concessione, non ultimo sul piano delle conseguenze risarcitoria che potrebbero derivare da un eventuale contenzioso.

Competenza territoriale del Prefetto e procedimento

Competenza.

Per quanto attiene al tema della competenza territoriale del prefetto, attesa la formulazione della norma, sarebbero praticabili diverse opzioni.

Nelle more di un auspicabile chiarimento legislativo, appare prudente rimettersi ad un criterio interpretativo che agganci l’individuazione della competenza territoriale ad un elemento di sistema già presente nel diritto positivo.

Il radicamento della competenza conseguirà alla scelta effettuata dalla Autorità proponente, e, dunque, dal Presidente dell’ANAC, sulla base delle varie esigenze che emergono nelle singole fattispecie.

Il dato normativo testuale àncora però la competenza alla sede della stazione appaltante con la conseguenza che potrebbero essere più prefetti investiti della competenza a disporre la applicazione della misura straordinaria con evidenti profili di potenziale carenza di coordinamento che potrebbe essere supplita dal ruolo che svolge il Ministro dell’Interno al fine di uniformare le scelte sul territorio.

Le seconde linee guida dell’ANAC delineano il seguente assetto delle competenze “La legge di conversione n, 11 4/2014 è intervenuta a disciplinare espressamente la materia, con un’integrazione del comma 1 dell’art. 32, in virtù della quale la competenza a disporre le misure in argomento viene attribuita in via esclusiva al Prefetto del luogo dove ha sede la stazione appaltante. Ciò nell’evidente considerazione che quest’ ultimo, operando nell’ambito territoriale in cui è stato aggiudicato l’appalto, potrà. disporre di maggiori elementi valutativi sulle condizioni di illiceità che giustificano l’adozione della misura straordinaria e seguirne più agevolmente la gestione commissariale.

Diverso, invece, il caso, previsto dal comma 10 dell’art. 32, in cui l’evento a monte della misura non coincide con un fatto corruttivo o illecito riferibile ad una ipotesi contrattuale ben individuata, quanto piuttosto ad un giudizio sull’onorabilità, dal punto di vista antimafia, dell’operatore economico, che si riverbera sulla complessiva capacità a contrattare con la pubblica amministrazione.

In questo caso l’adozione dello straordinario strumento commissariale ben potrebbe, in linea assolutamente teorica, essere attivato, da parte del Prefetto , non solo a presidio dell’appalto per il quale è stato chiesto il rilascio della documentazione antimafia, ma nei confronti di tutti i contratti in atto al momento del rilascio dell’interdittiva, ove ricorressero simultaneamente per tutti le eccezionali condizioni di cui al comma 10.

In questa prospettiva si comprende la scelta operata dal legislatore, laddove, con il D. Lgs. n. 153/2014, ha inserito una specifica previsione nell’art. 92 del D. Lgs. n. 159/2011.

A differenza. di quanto previsto per il 32, comma 1, tale novella attribuisce al Prefetto, che ha emesso l’informazione antimafia interdittiva, la titolarità del potere di avviare il procedimento per l’applicazione delle misure di cui all’art. 32, comma 10, del D.L. n. 90/2014 e di adottare il relativo provvedimento finale. E’ appena il caso di ricordare che, a seguito delle modificazioni introdotte dal D. Lgs. n. 153/2014, il Prefetto competente al rilascio dell’informazione antimafia è quello della provincia in cui l’impresa ha la sede legale, ovvero, per le società ex art, 2508 c.c., della provincia in cui è stata stabilita la sede secondaria con rappresentanza stabile nel territorio dello Stato.

In particolare, è possibile fare riferimento all’art. 90, comma 1, del Codice antimafia, che, in relazione al rilascio delle informazioni, affida tale competenza, alternativamente, al prefetto del luogo in cui hanno sede le stazioni appaltanti o del luogo in cui hanno residenza o sede le persone fisiche, le imprese o gli altri soggetti nei cui confronti viene richiesta la stessa informazione.

Ciò posto, si raccomanda di riservare una particolare attenzione all’ipotesi. in cui la sussistenza delle condizioni esìgenziali per l’adozione della misura vengano a riguardare un contratto in corso di esecuz ione in sede diversa da quella del Prefetto competente.

Sarà infatti essenziale che, in tali casi , i due prefetti procedano in stretta sinergia, sin dall’avvio del procedimento di valutazione della sussistenza delle condizioni per l’adozione del commissariamento, al fine di assicurare la massima condivisione informativa in tutte le fasi sia propedeutiche che successive all’adozione della misura”.

Restano ovviamente ferme le disposizioni che, in relazione a particolari fattispecie (com’è, ad esempio, per il caso della ricostruzione in Abruzzo o dell’Expo 2015), prevedono la possibilità di specifiche deroghe anche al cennato art. 90, comma 1.

Procedimento

L’art. 32 delinea un procedimento articolato in due fasi.

La prima consiste nella proposta che il Presidente dell’ANAC, all’esito di una valutazione delle situazioni emerse, rivolge al Prefetto competente, indicando la misura ritenuta più adeguata da adottare;

La seconda consiste nell’adozione della misura da parte del Prefetto.

I due segmenti sono collegati e l’art. 32 prefigura una procedura a formazione progressiva, in quanto alla proposta motivata del Presidente dell’ANAC segue un’autonoma fase valutativa del Prefetto che può giovarsi anche di ulteriori approfondimenti, anche attraverso momenti di interlocuzione con la stessa Autorità.

Tra i due segmenti non si può eludere il momento partecipativo degli interessati in applicazione degli artt. 7 e ss. della legge n. 241 del 1990 sul quale si regge la tenuta costituzionale dell’assetto normativo.

Come si è già accennato, l’art. 32, in attuazione del principio di proporzionalità, gradua le misure da applicare in ragione della gravità della situazione in cui versa l’impresa.

A tal fine, la disposizione distingue due ipotesi.

La prima riguarda il caso in cui le fattispecie elencate al comma 1, lettere a) e b) interessino i soggetti componenti degli «organi sociali». Anche in questo caso pare logico ritenere che tale espressione sia da intendersi riferita agli organi titolari dei poteri di amministrazione.

L’art. 32 prevede che, laddove la situazione verificatasi possa essere superata attraverso un allontanamento del soggetto titolare o componente dell’organo sociale coinvolto nelle predette vicende, il Prefetto applicherà la misura di cui al comma 1, lettera a).

Detta misura consiste nell’ordine di rinnovare l’organo sociale mediante sostituzione del soggetto coinvolto entro il termine di trenta giorni, ovvero, nei casi più gravi, di dieci giorni (comma 2).

Nel caso in cui l’impresa non abbia ottemperato all’ordine di rinnovazione dell’organo sociale ovvero nel caso in cui la rinnovazione dell’organo sociale non risulti sufficiente a garantire gli interessi di tutela della legalità e dell’immagine dell’amministrazione (ad esempio, perché le situazioni verificatesi interessano più organi o una pluralità di loro componenti), si fa luogo alla misura più penetrante della straordinaria e temporanea gestione dell’impresa, sempre limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto.

42

Il procedimento di cui all’articolo 32 (commi 1, 2 e 8, giova ribadirlo, richiede l’intervento necessario di due distinte Autorità amministrative: il Presidente dell’ANAC – cui è riservato l’esercizio del potere di proposta – e il Prefetto – che è l’organo decisorio, cui si imputano soggettivamente, ed anche sotto il profilo della responsabilità, gli atti che definiscono il procedimento.

In buona sostanza, ci si troverà di fronte ad una duplice motivazione, la prima a sostegno dell’atto propulsivo del Presidente dell’ANAC e la seconda a sostegno del decreto del Prefetto.

Il Prefetto non può, pertanto, adottare d’ufficio il provvedimento, potendo, comunque, sollecitare il Presidente dell’ANAC ad attivare formalmente la procedura.

Diversa è la procedura di cui al comma 10, che ha carattere monofasico ad iniziativa e definizione prefettizia.

La disposizione prevede che le misure in questione sono adottate in autonomia dal Prefetto, che le comunica al Presidente dell’ANAC.

Si tratta dell’ipotesi in cui sia stata emessa dal Prefetto un’informazione antimafia interdittiva e sussista l’urgente necessità di assicurare il completamento dell’esecuzione del contratto, ovvero la sua prosecuzione.

Anche in questo procedimento vale il principio di garanzia della partecipazione, che non è prevista per l’adozione dell’interdittiva, ma è doverosa per l’adozione del provvedimento di nomina degli amministratori straordinari ai sensi dell’articolo 32 del decreto-legge n. 90.

Non sussiste la necessità del previo intervento della comunicazione di avvio del procedimento in occasione dell’emissione dell’informativa interdittiva e dei conseguenti provvedimenti incidenti sul rapporto amministrativo a valle, poiché si tratta di procedimenti in materia di tutela antimafia, come tali caratterizzati intrinsecamente da riservatezza ed urgenza.(Cfr. Cons. St., sez. VI, 29 febbraio 2008 n. 756; Cons. St., sez. V, 12 giugno 2007 n. 3126; id., 28 febbraio 2006 n. 851).

Detto orientamento peraltro andrebbe rivisto in quanto gli effetti che derivano dall’interdittiva antimafia hanno sull’impresa una portata tale da determinarne una forma di inibizione per il futuro di contrarre con la pubblica amministrazione o di essere destinataria di atti applicativi della sfera giuridica da parte di quest’ultima, magari utilizzando una serie di cautele volte da non pregiudicare il contrasto dei fenomeni di infiltrazione mafiosa nel contesto del mondo imprenditoriale.

La tipologia dei provvedimenti adottabili

L’art. 32 consente alternativamente l’adozione di uno dei seguenti provvedimenti:

– la rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto nelle predette vicende individuate come rilevanti ai fini qui in argomento (comma 1, lettera a);

– la straordinaria e temporanea gestione dell’attività dell’impresa appaltatrice limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto oggetto del procedimento penale (comma 1, lettera b);

– il sostegno e il monitoraggio dell’impresa, finalizzati a riportarne la gestione entro parametri di legalità (comma 8).

L’intervento sostitutivo non viene ad implicare «l’azzeramento» degli organi sociali preesistenti, ma si concretizza in un più limitato intervento di «sterilizzazione» che appare più conforme, nell’attuale fase, ad un prudenziale criterio di non invadenza e di rispetto dell’autonomia di impresa.

Pertanto, nei primi due casi gli amministratori nominati dal Prefetto sostituiranno i titolari degli organi sociali dotati di omologhi poteri soltanto per ciò che concerne la gestione delle attività di impresa connesse all’esecuzione dell’appalto da cui trae origine la misura.

Gli organi sociali ordinari resteranno in carica per lo svolgimento di tutti gli altri affari riguardanti lo stesso o altri eventuali settori dell’attività economica dell’azienda.

Si realizza in tal modo una forma di gestione separata e a tempo di un segmento dell’impresa, finalizzata esclusivamente all’esecuzione dell’appalto pubblico, le cui modalità di attuazione e di gestione potranno essere definite anche attraverso il ricorso agli strumenti previsti dall’ordinamento – si pensi ad esempio a quelli regolati dall’art. 2447-bis c.c. – che consentono forme di destinazione specifica del patrimonio sociale ad un determinato affare.

Con l’atto che dispone tale misura, il Prefetto provvede anche:

– alla nomina di nuovi amministratori (fino ad un massimo di tre), scelti tra soggetti in possesso dei requisiti di professionalità e moralità previsti dal decreto ministeriale 10 aprile 2013, n. 60, per coloro che vengono chiamati a ricoprire l’incarico di commissario giudiziale e commissario straordinario nelle procedure di amministrazione straordinaria di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (comma 2);

– alla determinazione del compenso spettante ai predetti amministratori, calcolato sulla base delle tabelle allegate al decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14, che regola gli emolumenti da corrispondere agli amministratori giudiziari (comma 6, modalìta oggidisciplinata dalle terze Linee guida ANAC- Ministero dell’Interno);

– la durata della straordinaria e temporanea gestione che deve essere commisurata alle esigenze connesse alla realizzazione dell’appalto pubblico oggetto del contratto.

Con la straordinaria e temporanea gestione, sono sospesi l’esercizio dei poteri di disposizione e gestione dei titolari dell’impresa, nonché i poteri dell’assemblea dei soci.

Gli amministratori nominati dal Prefetto assumono, invece, i poteri degli organi di amministrazione limitatamente al segmento di attività riguardante l’esecuzione dell’appalto pubblico da cui trae origine la misura, provvedendo per le somme introitate dall’impresa ad osservare le particolari regole stabilite al comma 7.

Una misura diversa viene, infine, prevista nell’ipotesi in cui le indagini concernenti le situazioni di cui al predetto comma 1 riguardino componenti diversi dagli organi sociali, propriamente titolari dei poteri di amministrazione.

Tale fattispecie presuppone un minor livello di compromissione dell’operatore economico e giustifica, in ragione del principio di proporzionalità, l’adozione di una misura più attenuata, consistente nella nomina di uno o più esperti con compiti di monitoraggio e sostegno dell’impresa (comunque in numero non superiore a tre), nominati dal Prefetto tra coloro che sono in possesso dei requisiti di professionalità e moralità di cui al già menzionato

Il procedimento di nomina degli esperti e quello di determinazione del loro compenso è regolato in termini coincidenti a quelli previsti per gli amministratori incaricati della straordinaria e temporanea gestione dell’impresa, per cui si rinvia a quanto già detto sopra sull’argomento.

Vale piuttosto la pena soffermare l’attenzione sull’obiettivo perseguito dalla finalità in commento che consiste nell’inserire all’interno della compagine di impresa un «presidio», in grado di stimolare l’avvio di un percorso finalizzato a riportare la linea gestionale su binari di legalità e trasparenza.

A tal fine, infatti, l’art. 32, comma 8, attribuisce agli amministratori il potere di fornire all’impresa prescrizioni operative, riferite ai seguenti aspetti della vita dell’azienda:

– ambiti organizzativi;

– sistema di controllo interno;

– organi amministrativi e di controllo.

La cessazione degli effetti delle misure straordinarie

Il comma 5 dell’art. 32 individua le ipotesi di cessazione anticipata della rinnovazione dell’organo sociale e della straordinaria e temporanea gestione dell’impresa.

La norma prevede, infatti, che il Prefetto debba revocare le predette misure nel caso in cui sopravvenga un provvedimento che dispone la confisca, il sequestro o l’amministrazione giudiziaria dell’impresa.

Tali ipotesi non escludono comunque la possibilità che la revoca del provvedimento possa essere disposta nell’esercizio del generale potere di autotutela disciplinato dall’art. 21 quinques della legge 7 agosto .. n. 241.

Ancorché ciò non sia espressamente previsto, si ritiene che la revoca debba essere disposta anche nel caso in cui l’Autorità Giudiziaria adotti un provvedimento che escluda ipotesi di responsabilità dell’operatore economico nelle vicende che hanno dato luogo alle misure (sentenze di non luogo a luogo a procedere adottata per motivi diversi dall’estinzione del reato, sentenze di assoluzione adottate ai sensi dell’articolo 530, comma 1, c.p.p.).

In tali ipotesi viene infatti meno il presupposto sulla base del quale è stato adottato il provvedimento conformativo dell’attività di impresa.

Si ritiene, invece, che la revoca debba essere proceduta da una valutazione discrezionale, sviluppata dal Prefetto d’intesa con il Presidente dell’ANAC, nell’ipotesi in cui sopravvengano sentenze di proscioglimento per motivi diversi da quelli sopra indicati, sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti, ovvero provvedimenti che determinano la cessazione delle misure cautelari disposte dall’Autorità Giudiziaria.

Occorrerà valutare se i provvedimenti sopravvenuti siano in grado di far ritenere che sia venuto meno il profilo di responsabilità addebitabile all’impresa o che esso si sia comunque attenuato al di sotto della soglia di certezza o gravità richiesta dal comma 1 dell’art. 32.

Analogamente la cessazione degli effetti della misura straordinaria va ricondotta all’adozione da parte del giudice amministrativo di provvedimenti cautelari che sospendono l’efficacia  o di sentenza di annullamento dell’interdittiva antimafia.

In particolare l’annullamento dell’interdittiva non produce soltantoeffetti vizianti sulle misure straordinarie ex articolo 32 del decreto-legge 90, bensì caducanti.

Giova ricordare che per la concreta individuazione della invalidità ad effetto caducante si deve valutare l’intensità del rapporto di consequenzialità, con riconoscimento di tale effetto solo ove tale rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel senso che l’atto successivo si ponga, nell’ambito della stessa sequenza procedimentale, come inevitabile conseguenza di quello anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, con particolare riguardo al coinvolgimento di soggetti terzi, estranei alla precedente vicenda contenziosa.

Nel processo amministrativo, infatti, in presenza di vizi accertati dell’atto presupposto deve distinguersi tra invalidità a effetto caducante e invalidità a effetto viziante, nel senso che nel primo caso l’annullamento dell’atto presupposto si estende automaticamente all’atto conseguenziale anche quando quest’ultimo non è stato impugnato, mentre nel secondo caso l’atto conseguenziale è affetto da illegittimità derivata, ma resta efficace ove non ritualmente impugnato.

La prima ipotesi ricorre nel solo caso in cui l’atto successivo venga a porsi nell’ambito della medesima sequenza procedimentale, quale inevitabile conseguenza dell’atto anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, il che comporta la necessità di valutare l’intensità del rapporto di conseguenzialità tra l’atto presupposto e l’atto successivo, con riconoscimento dell’effetto caducante qualora detto rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel senso che l’atto successivo si ponga, nell’ambito dello stesso contesto procedimentale, come conseguenza ineluttabile rispetto all’atto precedente (Consiglio di Stato, sez. V, 13 novembre 2015,  n. 5188).

La prima casistica giurisprudenziale

Il primo contenzioso amministrativo ha avuto origine dall’avvio di un’indagine penale, ed è relativo all’appalto pubblico per la progettazione ed esecuzione dei lavori delle architetture di servizio per l’evento Expo 2015.

Dalle indagini della Procura di Milano per i reati di corruzione e turbativa d’asta dell’appalto in questione, concluse con l’adozione di misure cautelari personali nei confronti del direttore generale della stazione appaltante e dell’amministratore delegato dell’impresa aggiudicataria sono, infatti, emerse violazioni dei principi di concorrenza e trasparenza nello svolgimento della procedura di aggiudicazione tali da indurre le imprese classificatesi seconde in graduatoria, costituitesi in r.t.i, a formulare alla stazione appaltante richiesta di risoluzione del contratto sottoscritto con l’impresa aggiudicataria.

A seguito della risposta negativa della stazione appaltante , secondo cui non sussistevano i presupposti per la risoluzione del contratto, le imprese seconde classificate hanno presentato ricorso dinanzi al TAR Lombardia, sede di Milano, impugnando gli atti della procedura di aggiudicazione.

Ne è derivata, a opera dell’impresa aggiudicataria resistente, un’eccezione di rito relativa alla tardività del ricorso: eccezione respinta dal TAR Lombardia secondo cui il termine d’impugnazione dovesse considerarsi decorrente dalla data, successiva all’aggiudicazione, di conoscenza degli elementi emersi dalle indagini penali e dalle misure cautelari emanate per i reati commessi.

Il TAR Lombardia ha poi proceduto a annullare l’aggiudicazione dell’appalto pubblico in considerazione della violazione del protocollo di legalità, parte integrante della lex specialis della gara, sottoscritto anche dall’aggiudicataria, con cui ogni operatore economico coinvolto nella procedura pubblica si sottoponeva a obblighi d’informazione e di denuncia della commissione di eventi criminali che potessero compromettere la legittimità della procedura nonché ad accettare il relativo sistema sanzionatorio, in forza di cui tali prescrizioni erano vincolanti a pena di esclusione dalla gara e alla cui violazione conseguiva la revoca dell’affidamento e la risoluzione automatica del contratto.

Il giudizio d’appello innanzi al Consiglio di Stato si è concluso a favore degli appellanti.

Si legge in particolare nella sentenza del Consiglio di Stato numero 143 del 2015: “Sotto tale ultimo profilo, mette conto richiamare nuovamente la sopravvenuta disciplina di cui al già citato d.l. nr. 90 del 2014, la quale secondo l’avviso di questa Sezione costituisce la miglior conferma del carattere non automaticamente viziante di fatti come quelli emersi durante l’esecuzione dell’appalto di che trattasi (come dimostrato dal fatto che il legislatore ha dovuto escogitare uno strumento ad hoc per impedire all’affidatario di continuare a percepire quello che potrebbe essere il profitto di un reato), e al tempo stesso dell’opzione normativa in favore del mantenimento in essere del rapporto contrattuale scaturito dall’originario affidamento (come dimostrato dall’avere il legislatore bilanciato unicamente i due interessi pubblici alla sollecita realizzazione dell’opera pubblica e ad impedire al possibile reo di lucrare sul proprio illecito, lasciando sullo sfondo l’interesse delle altre imprese partecipanti alla gara a monte).

Tale ultimo interesse, se del caso, potrà trovare tutela in via risarcitoria attraverso la costituzione di parte civile nel giudizio penale ovvero attraverso la proposizione di autonoma azione nei confronti di coloro che dovessero risultare responsabili di reati (laddove, quanto ai pubblici funzionari, l’effettivo e definitivo accertamento della loro responsabilità penale confermi l’interruzione del rapporto di immedesimazione organica con l’Amministrazione di appartenenza)”.

Altra pronuncia che fa applicazione dei principi desumibili dall’art. 32 del D.L. n. 90 è quella del Consiglio di Stato n. 4539 del 2015.

Nella fattispecie si lamentava che il Prefetto di Roma avrebbe adottato l’informativa antimafia, in violazione del disposto di cui all’art. 32 del d.l. 90/2014 e del Protocollo d’intesa ANAC/Ministero dell’Interno, i quali prevedono misure più attenuate e meno estreme di gestione, sostegno e monitoraggio, in favore dell’impresa sospetta di infiltrazioni mafiose, prima di emettere l’informativa, che paralizza di fatto la vita dell’impresa, aggiudicataria di ben 57 commesse pubbliche.

Nella sentenza si legge “È ben evidente, dalla lettura di tale ultima disposizione, che l’emissione del provvedimento interdittivo non necessariamente debba essere preceduta dall’adozione delle misure di cui al comma 1 dell’art. 32 del d.l. 90/2014, sicché il Prefetto può legittimamente emettere l’informativa, ricorrendone i presupposti di cui all’art. 91 del d. lgs. 159/2011, salvo poi, nelle ipotesi di cui al comma 10 dell’art. 32 del d.l. 90/2014, adottare successivamente le misure sostitutive di cui al comma 1 del predetto articolo.

37.1. La mancata previa adozione di tali misure non ha efficacia invalidante, dunque, sull’emissione dell’informativa né viola i canoni di adeguatezza, proporzionalità ed adeguatezza.

37.2. Dal quadro normativo sin qui descritto si desume, in altri termini, che le misure di cui all’art. 32, commi 1, 2 e 8, del d.l. 90/2014 possono essere applicate contestualmente all’adozione dell’interdittiva antimafia e che l’intervento sostitutivo dell’autorità prefettizia, in ipotesi di interdittiva già in atto, è consentito solo nelle ipotesi eccezionali, previste dal comma 10, che giustificano la prosecuzione del rapporto contrattuale, previa “bonifica” dell’assetto societario, per preminenti ragioni di interesse generale, al punto che l’attività di temporanea e straordinaria gestione dell’impresa è considerata di “pubblica utilità”, come chiarisce il comma 4.

37.3. Tanto sono preminenti ed eccezionali tali ragioni e tanto esse sono di interesse generale, peraltro, che il successivo art. 92, comma 2-bis, del d. lgs. 159/2011 prevede che il procedimento, previsto dall’art. 32, comma 1, del d.l. 90/2014, debba essere avviato obbligatoriamente d’ufficio dal Prefetto, con la conseguenza che l’impresa interessata è legittimata ad esercitare, nell’ambito di esso, esclusivamente gli strumenti di partecipazione previsti dagli art. 7, 8 e 10 della 1. 241/1990 e non a chiedere l’avvio del procedimento stesso”.

Criticità dell’istituto e compatibilità con i principi costituzionali e della CEDU.

Secondo Confindustria (documento redatto in occasione dell’audizione in Parlamento): “occorre considerare che il decreto-legge collega i poteri del Presidente dell’ANAC e del Prefetto a fatti generici e privi di rilevanza.In particolare, si prevede la possibile attivazione di tali poteri anche al di là dell’avvio di indagini penali e in presenza di non meglio precisate “situazioni anomale” o “sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali”, trascurando il fatto che il Presidente dell’ANAC e il Prefetto non sono pubblici ministeri né giudici, non hanno poteri istruttori idonei ad attivarsi in queste situazioni e non offrono le giuste garanzie in termini di difesa dei soggetti coinvolti. Il riferimento a questi presupposti generici andrebbe quindi espunto dal testo”.

L’istituto disciplinato dall’articolo 32 del decreto-legge 90 del 2014, avendo lo stesso contenuto dispositivo delle sanzioni interdittive previste dalla disciplina penale, potrebbe rientrare, secondo i parametri della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nella materia penale, con possibili conseguenze in merito alla sua legittimità, siccome tramite esso vengono emanate misure sanzionatorie punitive in assenza delle garanzie penali.

L’intersezione, e l’eventuale conflitto, tra il diritto penale e quello amministrativo è un elemento ricorrente all’interno di una speciale normativa di contrasto alla corruzione, come già rilevato anche a livello nazionale (Corte europea dei diritti dell’uomo 30 aprile 2015 ricorso numero 3453/12; Corte europea dei diritti dell’uomo 4 marzo 2014 ricorso numero 18.640/10, 18.647/10, 18.663/10, 18.668/10,18.698/10; 21 febbraio 1984 ricorso numero 8544/79).

Un secondo profilo di criticità dell’istituto viene in rilievo con riferimento al fatto che l’applicazione del “commissariamento” dia prevalenza ai soli interessi pubblici a estromettere i soggetti criminali dagli appalti pubblici e al celere proseguimento dei lavori pubblici laddove il sindacato sulla legittimità della procedura pubblica e l’interesse delle altre imprese partecipanti all’aggiudicazione della gara risultano interessi recessivi.

Secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato e dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (seconde linee guida) la disciplina del commissariamento sopperisce all’assenza di previsioni normative per ipotesi, come quella in esame, in cui non sono emersi vizi amministrativi tali da indurre l’autorità giudiziaria a un annullamento dell’aggiudicazione, e tuttavia appare in certi casi intollerabile consentire di proseguire i lavori a un imprenditore nei cui confronti pendano imputazioni per fattispecie penali collegate alla stessa procedura di aggiudicazione.

La soluzione della straordinaria e temporanea gestione dell’impresa si pone dunque come alternativa percorribile alla risoluzione del contratto prevista dai Protocolli di legalità, in particolare in caso di inerzia della stazione appaltante a servirsi della clausola di risoluzione espressa.

D’altronde lo stesso protocollo d’intesa tra Ministero dell’Interno e Autorità Nazionale Anticorruzione ha evidenziato come sia opportuno che la decisione di attivare la risoluzione contrattuale debba essere previamente sottoposta alla valutazione dell’Autorità per consentire a quest’ultima di verificare se sia invece preferibile proseguire nel rapporto contrattuale, previo il rinnovo o la sostituzione degli organi dell’impresa aggiudicataria interessata dalle vicende corruttive (protocollo di legalità del 15 luglio 2014 paragrafo 4).

La corretta attuazione dei protocolli di legalità consentirebbe tuttavia di limitare l’intervento pubblico nella gestione dell’impresa aggiudicataria procedendo direttamente alla risoluzione del contratto pubblico aggiudica  permettendo così agli offerenti rispettosi degli obblighi sanciti di subentrare nell’aggiudicazione.

La disciplina della gestione straordinaria delle imprese giunge, invece, a sottrarre l’aggiudicazione e l’esecuzione dell’appalto agli offerenti che, se non fossero intervenuti gli illeciti dell’aggiudicataria o della stazione appaltante, sarebbero stati i legittimi aggiudicatari del contratto pubblico, oltre a porre le premesse per il risarcimento del danno nei loro confronti.

A ciò consegue che al danno per le finanze pubbliche, derivante dall’aggiudicazione di un appalto in una situazione di concorrenza violata, si possa aggiungere quello del risarcimento dei danni a favore del secondo offerente in graduatoria. Il che equivarrebbe in un duplice danno per la pubblica amministrazione.

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12 Maggio 2016 | By More

“COMMISSARIAMENTO ANTIMAFIA: PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO ED ESITI” – Relazione dell’Avv. Nicolò D’Alessandro

Commissariamento antimafia:

partecipazione al procedimento ed esiti

*[i]

§ 1 Premesse

Sull’onda emotiva dei fatti relativi all’Expo 2015 il governo mise mano al decreto legge n. 90 del 24 giugno 2014 introducendo due disposizioni eccezionali e d’emergenza ed una di sistema:

con l’art. 19 soppresse Avcp (Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici) con l'immediato trapasso delle sue funzioni all'Anac (Autorità Nazionale Anti Corruzione[1]) nelle more dell'approvazione di un piano di riordino;

con l’art. 30 costituì l’Unità Speciale Expo attribuendo al Presidente dell'Anac compiti di «alta sorveglianza» sulle procedure per le opere Expo 2015, avvalendosi di una «Unità operativa speciale» con personale distaccato ad hoc, anche della Guardia di Finanza.

Con l’art 32, secondo il linguaggio giornalistico che ne ha salutato con favore l’emanazione, previde per tutte le imprese coinvolte in inchieste giudiziarie il possibile commissariamento del cantiere.

L’originario impianto normativo dell’art. 32, oggetto della presente disamina, è stato modificato, una prima volta, in sede di legge di conversione (legge n. 114 dell’11 agosto 2014) e successivamente con altri due interventi (decreto-legge 13 novembre 2015 n. 179 e legge 28 dicembre 2015 n. 208).

A delineare il quadro della materia sono intervenute, poi, le prime linee guida del 15 luglio 2014, le seconde linee guida del 27 gennaio 2015 e le terze linee guida del 19 gennaio 2016; queste ultime, finalizzate a stabilire i criteri per determinazione dell’importo dei compensi da liquidare ai commissari prefettizi, non perdono tuttavia occasione di ribadire quali siano le misure previste dall’art. 32 e la loro graduazione con riferimento al principio costituzionale di libertà di iniziativa economica.

Tali atti di normazione secondaria sono stati emanati di concerto tra il Ministero dell’Interno e l’Autorità nazionale anticorruzione in virtù di apposito protocollo d’intesa.

L’art. 32 individua e disciplina una pluralità di procedimenti amministrativi,  ognuno dei quali è generato da presupposti distinti, ha un iter procedimentale autonomo e può condurre a provvedimenti conclusivi con effetti ben caratterizzati.

Con riferimento, poi, alla efficacia nel tempo dei singoli provvedimenti, la norma in esame individua anche specifici fatti estintivi.

Come accennato le linee guida forniscono importanti criteri interpretativi ed operativi che è indispensabile vagliare anche alla luce della scarna giurisprudenza formatasi in subiecta materia.

§ 2 Le linee guida

L’obiettivo prefissosi dall’art. 32 cit., esplicitamente dichiarato anche nel protocollo d’intesa 15 luglio 2014 tra il Ministero dell’Interno e l’ANAC, è quello di coniugare:

  • le eccezionali esigenze di salvaguardia occupazionale e di prosecuzione della realizzazione delle opere pubbliche,
  • con quelle di prevenzione e contrasto ai fenomeni di mala amministrazione e di penetrazione mafiosa nel circuito dell’economia legale.

Le prime linee guida ribadiscono esplicitamente che:

«L' art.32 consente alternativamente l'adozione di uno dei seguenti provvedimenti:

  • la rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto nelle predette vicende individuate come rilevanti … (comma 1, lett. a);
  • la straordinaria e temporanea gestione dell’attività dell’impresa appaltatrice limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto oggetto del procedimento penale (comma 1, lett. b);
  • il sostegno e il monitoraggio dell’impresa, finalizzati a riportare la gestione entro parametri di legalità (comma 8)»

Sempre nelle prime linee guida si chiarisce che le fasi in cui si articola il procedimento ex art. 32 (proposta dell’ANAC – provvedimento prefettizio ma anche: provvedimento prefettizio – comunicazione all’Anac) “non costituiscono evidentemente “compartimenti stagni"; piuttosto l'art. 32 prefigura una procedura "a formazione progressiva": alla proposta motivata del Presidente dell'ANAC segue un'autonoma fase valutativa del Prefetto che può giovarsi anche di ulteriori approfondimenti, anche attraverso momenti di interlocuzione con la stessa Autorità” ribadendo, che “l'art. 32, in attuazione del principio di proporzionalità, gradua le misure da applicare in ragione della gravità della situazione in cui versa I'impresa.”

Le stesse linee guida forniscono precisazioni ed istruzioni per l'ipotesi in cui le indagini concernenti le situazioni di cui al comma 1 dell’art. 32 “riguardino componenti diversi dagli organi sociali, propriamente titolari dei poteri di amministrazione”chiarendosi che “Tale fattispecie presuppone un minor livello di compromissione dell'operatore economico e giustifica, in ragione del principio di proporzionalità, l'adozione di una misura più attenuata, consistente nella nomina di uno o più esperti con compiti di monitoraggio e sostegno dell'impresa”

In tal modo viene inserito, “all'interno della compagine di impresa un "presidio", in grado di stimolare l'avvio di un percorso finalizzato a riportare la linea gestionale su binari di legalità e trasparenza. A tal fine, infatti, l'art.32, comma 8, attribuisce agli amministratori il potere di fornire all’impresa prescrizioni operative, riferite ai seguenti aspetti della vita dell'azienda:

  • ambiti organizzativi
  • sistemi di controllo interni
  • organi amministrativi e di controllo

Sebbene non espressamente richiamato è evidente che le suddette prescrizioni possono trovare un significativo punto di riferimento nei modelli di organizzazione previsti dall'art. 6 del D. Lgs. 8 giugno 2001, n.231” (ovvero: modelli di organizzazione e di gestione che possano garantire dal rischio di commissione di reati).

Le linee guida, si occupano, poi, delle successive e più incisive forme di intervento prevedendo che “.., laddove la situazione verificatasi possa essere superata attraverso un allontanamento del soggetto titolare o componente dell'organo sociale coinvolto nelle predette vicende, il Prefetto applicherà la misura di cui al comma 1, lett. a). Tale misura consiste nell'ordine di rinnovare l'organo sociale mediante sostituzione del soggetto coinvolto entro il termine di trenta giorni, ovvero, nei casi più gravi, di dieci giorni (comma 2).”  precisando che solo “Nel caso in cui l'impresa non abbia ottemperato all'ordine di rinnovazione dell'organo sociale ovvero nel caso in cui la rinnovazione dell'organo sociale non risulti sufficiente a garantire gli interessi di tutela della legalità e dell'immagine dell'amministrazione (ad esempio, perché le situazioni verificatesi interessano più organi o una pluralità di loro componenti), si fa luogo alla misura più penetrante della straordinaria e temporanea gestione dell'impresa "limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto".

In definitiva appare chiara l’esistenza nella legge e nelle indicazioni operative fornite dal Ministero degli Interni e dall’ANAC di una graduazione delle misure amministrative in funzione del principio di proporzionalità.

Solo nel caso in cui i “fatti” contestati ed accertati riguardino componenti degli organi sociali (id est: soggetti in atto componenti degli organi titolari dei poteri di amministrazione) potranno essere applicate le misure di cui al comma 1, lett. a) e b) (cfr espressamente pag. 7 prime linee guida u. c.)

§ 3 i singoli procedimenti

L’art. 32, consente al Prefetto territorialmente competente di:

  1. ordinare la rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto;
  2. provvedere alla straordinaria e temporanea gestione dell’impresa limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto, mediante la nomina di “commissari”.
  3. disporre il sostegno e monitoraggio all’impresa attraverso la nomina di esperti che forniscano prescrizioni operative elaborate secondo riconosciuti indicatori e modelli di trasparenza.
  4. Una disciplina a parte è prevista per le imprese che esercitano attività sanitarie per conto del servizio sanitario nazionale.

Tali procedimenti, tuttavia, rispondono, come accennato, a presupposti diversi, coinvolgono soggetti istituzionali distinti e, ovviamente, conducono all’emanazione di provvedimenti definitivi con contenuto fortemente caratterizzato.

Le misure sopra tratteggiate hanno un’incidenza sul diritto di impresa decisamente differenziato e, fondamentale criterio che deve orientare la scelta di merito dell’autorità amministrativa è (o dovrebbe essere) quello di individuare, tra le tante, la misura più idonea a contemperare l’interesse pubblico primario della prevenzione anticorruzione e/o antimafia con gli interessi pubblici concorrenti individuati dal comma 10 (per il caso di misure post interdittiva antimafia) e consistenti nella:

  • continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali;
  • salvaguardia dei livelli occupazionali;
  • integrità dei bilanci pubblici;

Tutti tali interessi pubblici (primari e concorrenti) debbono altresì essere contemperati con gli interessi privati ma nondimeno costituzionalmente protetti, in particolare dall’art. 41 Cost., a mente del quale l’iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e dalla dignità umana, prevedendo , al 3° c.  , il limite della riserva di legge, e specificatamente avvertendo che solo “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

Le linee guida non richiamano mai espressamente tale norma costituzionale limitandosi ad affermare solo nelle seconde e nelle terze linee guida:

Le misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio sono, dunque, adottate in esercizio di un potere conformativo e limitativo della libertà di iniziativa economica, nell'intento di salvaguardare interessi pubblici di rango superiore.”

Certo è intuitivo che gli interessi pubblici di rango superiore che la norma intende salvaguardare sono quelli relativi alla “prevenzione della corruzione” ma, considerato il chiaro disposto dell’art. 41 Cost., il quale prevede che la legge e non la pubblica amministrazione, “determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” sarebbe stato preferibile che la legge fissasse con chiarezza i presupposti per un intervento così incisivo della mano pubblica sull’autonomia privata, evitando di ricorrere ad espressioni generiche in cui i presupposti di applicabilità sono rimessi ad un apprezzamento della pubblica amministrazione talmente indeterminato da sconfinare nell’arbitrio ed impedire un effettivo controllo giurisdizionale.

Cosa significhi: “presenza di rilevate situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali attribuibili ad un’impresa” e quali siano gli elementi oggettivi e verificabili dai quali possano evincersi tali situazioni anomale ed i sintomi di condotte illecite è arduo spiegarlo con chiarezza.

Ancòra, è da porre in evidenza che l’intervento della mano pubblica nella gestione dell’impresa con le modalità previste dalla norma in esame, non è affatto una scelta obbligata e senza alternativa per l’Amministrazione pubblica in quanto il diritto amministrativo “ordinario”, perfettamente in linea con il dato costituzionale, prevede delle alternative valide che vanno dalla risoluzione del contratto di appalto e l’affidamento al supplente sino alla requisizione in uso di complessi aziendali.

Se la scelta ordinaria non è stata utilizzata per Expo 2015, in ragione della pessima figura che l’Italia avrebbe fatto sul piano internazionale (a riprova  di quello che dicono le più accreditate statistiche: Italia penultima in UE e 61° al mondo per corruzione[2]) non è detto che, lontano dal palcoscenico internazionale, debba sempre e comunque utilizzarsi un istituto francamente anomalo ed a rischio di illegittimità costituzionale per la genericità dei presupposti normativi che lo giustificano.

I parametri di intervento attribuiti dalla legge alla Pubblica Amministrazione, nell’ambito dell’espletamento dell’iniziativa economica privata, anche nell’ottica della prevenzione anticorruzione ed antimafia debbono comunque essere letti sempre alla luce dell’art. 41 Cost..

Le singole misure:

Sostegno e monitoraggio dell’impresa (art. 32, comma 8)

Nel caso in cui le indagini per i reati di:

concussione, corruzione per un atto d’ufficio, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, induzioni indebita a dare o promettere utilità, corruzione in atti giudiziari, istigazione alla corruzione, peculato concussione corruzione di membri degli organi comunitari e di Stati esteri, traffico d’influenza illecite, turbata libertà degli incanti e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente;

riguardino componenti di “organi societari” diversi dagli “organi sociali[3] il Prefetto dispone la misura di sostegno e monitoraggio all’impresa.

La norma, in sé, ha degli elementi di chiarezza perentoria inficiata però dall’espressione ambigua sopra riferita e di difficile ricostruzione (quali mai possono essere gli “organi societari” diversi dagli “organi sociali”?).

L’applicazione della misura del sostegno e monitoraggio all’impresa sembra essere una misura priva di una qualunque discrezionalità in quanto ogni qualvolta l’autorità giudiziaria proceda per i delitti sopra indicati “è disposta la misura” e non “può essere disposta”.

La competenza in materia è del Prefetto, non è contemplata una comunicazione preventiva o successiva al Presidente dell’Anac ma, incredibilmente, l'art. 7 della l. 27 maggio 2015, n. 69, aggiungendo l'ultimo periodo all’art. 129, comma, 3 ha previsto che il pubblico ministero, quando esercita l'azione penale per i delitti di cui agli articoli 317318319319-bis319-ter319-quater320321322322-bis346-bis353353-bis del codice penale, informa il Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione ma non il Prefetto che è l’Autorità esclusivamente competente all’adozione della misura del tutoraggio.

D’altra parte la pendenza di un procedimento per i delitti indicati nella prima parte del primo comma dell’art. 32 è un fatto oggettivo il che lascerebbe immaginare che la legge, con una propria autonoma valutazione, insindacabile dall’autorità amministrativa, ha previsto che sempre e in ogni caso in tale ipotesi debba essere affiancato all’imprenditore un tutor.

Appare significativo, d’altronde, che tale misura non possa essere applicata, “in presenza di rilevate situazioni anomale o comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali attribuibili ad un’impresa aggiudicataria” (che è l’altra ipotesi contemplata dal 1° comma) in quanto l’autorità giudiziaria non procede per rilevare “situazioni anomale” ma solo per perseguire specifiche ipotesi delittuose.

Cercando di individuarne la ratio, essendo avara la lettera della norma, deve ritenersi che qualora le indagini per fenomeni corruttivi riguardino organi societari (intesi in senso lato) non direttamente coinvolti nella gestione dell’impresa, il Prefetto dispone il tutoraggio.

In questo caso il procedimento è avviato d’ufficio dal Prefetto ed è concluso dal medesimo. Non è previsto, si ripete, alcun intervento dell’Anac.[4]

Ordine di rinnovazione degli organi sociali (art. 32, c. 1 lett. a) e

Straordinaria temporanea gestione dell’impresa (art. 32, c. 1 lett. b)

Procedimenti su proposta del Presidente dell’ANAC

Nell’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria proceda per i reati sopra indicati ovvero, qui, a differenza della precedente ipotesi, in presenza di “rilevate” situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali il Presidente dell’Anac ne informa in ogni caso il procuratore della Repubblica (e ciò sembra essere nient’altro che una conferma dell’obbligo di denuncia di cui all’art. 331 c.p.c.);

solo nel caso in cui sussistono altresì “fatti gravi e accertati anche ai sensi dell’art. 19, comma cinque lettera a)” sorge in capo alla Presidente dell’Anac il potere di “proposta”.

Dire, come dice la legge, che il Presidente dell’Anac possa proporre al Prefetto territorialmente competente di adottare una misura straordinaria di gestione dell’impresa per l’esecuzione del contratto solo in presenza di fatti gravi e “accertati” e di “rilevate” situazioni anomale e sintomatiche di fatti illeciti non sembra corrispondere a quanto accaduto in Italia negli ultimi anni in quanto il termine “accertato” (ancor più di “situazioni rilevate”) è parecchio impegnativo ed ha il significato di indubbio, provato, certo fuor di ogni ragionevole dubbio.

Recitano le linee guida che devono considerarsi fatti accertati quelli sostenuti da riscontri oggettivi tali da far ritenere probabile un giudizio prognostico di responsabilità nei confronti della governance d'impresa per condotte criminali, il che postulerebbe un rapido “giudizio” esclusivamente su dati “oggettivi” che anticipi (con tutte le approssimazioni del caso) il giudizio di responsabilità penale sui gestori palesi o occulti dell’impresa.

Il paradosso è che il riscontro “oggettivo” (poniamo: la foto che documenta il passaggio di danaro) può essere tale per l’Anac e, forse prima per il Pubblico Ministero, ma potrebbe non esserlo per il Giudice penale.

Tali elementi “oggettivi” possono essere acquisiti dall'Autorità tramite l'esercizio dei propri poteri ispettivi e di vigilanza o provenire dagli accertamenti dell'autorità giudiziaria. In tal senso è stato modificato l'art. 129, norme di attuazione del codice di procedura penale, prevedendosi che “Quando esercita l'azione penale per i delitti di cui agli articoli 317318319319-bis319-ter319-quater320321322322-bis346-bis353353-bis del codice penale, il pubblico ministero informa il Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, dando notizia dell'imputazione” ; ma  tali dati “oggettivi” non possono certo evincersi dall’imputazione e il Giudice amministrativo, eventualmente chiamato a verificarne l’esistenza non potrà certo accontentarsi della lettura dell’imputazione formulata dal P. M. per avallare una così grave compromissione della libertà di iniziativa economica privata.

Poco aggiunge alla possibilità di avere dati “oggettivi” la previsione secondo cui la presenza di tali fatti gravi possa ricavarsi (in termine di maggiore o minore certezza) con le modalità di cui all’art. 19 comma 5 lettera a del D. L. 90/2014 il quale prevede solo che l’Autorità possa ricevere notizie e segnalazione anche dai pubblici dipendenti i quali se compiono il proprio dovere di denuncia (ex art. 331 cpp) non possono subire alcun ostracismo.[5]

Tuttavia ancòra non si è data risposta al problema di come i fatti gravi debbono essere altresì “accertati” dall’Anac prima di formulare la proposta al Prefetto.

Sembra evidente che i fatti di che trattasi non debbano essere stati accertati in sede giudiziaria, perché altrimenti la disposizione sarebbe concretamente inapplicabile, ma ancor più sicuro è che tali fatti debbano essere stati accertati in sede amministrativa e, come riconosce la medesima Anac, debbano essere illustrati nel corpo di una “proposta motivata del Presidente dell'ANAC”  nella quale, oltre a spiegare come e perché i “fatti” debbano considerarsi gravi e provati si deve anche prendere posizione in ordine all’alternativa di: a) ordinare la rinnovazione degli organi sociali; b) provvedere direttamente alla straordinaria temporanea gestione dell’impresa (non il tutoraggio sul quale l’art. 32 non attribuisce all’Anac alcuna competenza).

A parere dello scrivente, quindi, nell’ipotesi in cui l’Anac riceva notizia di un procedimento giudiziario per delitti di corruzione o di turbativa, ovvero di condotte illecite o eventi criminali attribuibili ad un’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico anche attraverso la comunicazione di una imputazione o tramite la denuncia o l’esposto di un pubblico funzionario, la medesima Autorità deve avviare un procedimento per accertare in via amministrativa la veridicità e gravità dei fatti e ciò prima di formulare la proposta al Prefetto.

Sono le stesse linee guida del 2014 ad affermare che “devono considerarsi “fatti accertati” quelli corroborati da riscontro oggettivo, mentre il requisito della gravità … implica che i fatti stessi abbiano raggiunto un livello di concretezza tale da rendere probabile un giudizio prognostico di responsabilità nei confronti dei soggetti della compagine di impresa per condotte illecite o criminali”.

Subito dopo le linee guida ribadiscono:

“L’art. 32 delinea un procedimento articolato in due step [6]:

il primo, consiste nella proposta che il Presidente dell’Anac, all’esito di una valutazione delle situazioni emerse, rivolge al Prefetto competente indicando la misura ritenuta più adeguata da adottare;

il secondo consiste nell’adozione della misura da parte del Prefetto.”

Come già accennato poi nelle stesse linee guida si afferma che tali procedimenti non costituiscono compartimenti stagni ma una procedura a “formazione progressiva”.

Non è agevole inquadrare tale «procedimento”a formazione progressiva”» nei canoni del procedimento amministrativo come delineato dalla legge 241/1990 in quanto la “proposta” è un atto di iniziativa d’ufficio eteronoma (nel nostro caso obbligatoria perché in mancanza della stessa il Prefetto può al più disporre il tutoraggio o l’intimazione di procedere al rinnovo degli organi sociali) la quale pur nondimeno costituisce manifestazione di volontà e di giudizio dell’Anac.

Come tale, ai sensi della legge 241 del 90, la “proposta” costituisce un provvedimento amministrativo conclusivo di un procedimento avviato esclusivamente d’ufficio nell’ambito delle attribuzioni riconosciute dalla legge all’Anac.

Il secondo “step”, costituisce anch’esso un procedimento amministrativo avviato dal Prefetto esclusivamente su proposta del Presidente dell’Anac.

Dire che tali “passi” (recte: procedimenti/provvedimenti) non costituiscono compartimenti stagni ma prefigurano una procedura a formazione progressiva significa (e può significare) solo che l’una e l’altra amministrazione possono partecipare all’istruttoria l’una dell’altra anche per ragioni di celerità ed economicità allo scopo di evitare che l’organo deputato ad emanare il provvedimento conclusivo (il Prefetto) si rifiuti di emanarlo con il contenuto auspicato dalla proponente (Anac) adottando un atto negativo motivato (pur teoricamente possibile).

Nondimeno i due procedimenti sono e restano distinti e anche se l’istruttoria consente uno scambio di dati non perciò viene emanato un atto di concerto.

Ed il privato ?

Non stupisce che le tre linee guida emanate dall’Autorità nazionale anticorruzione e dal Ministero dell’interno si preoccupino di raccordare le procedure rimesse agli organi periferici dello stesso Ministero ed all’Anac trascurando quasi del tutto l’aspetto della partecipazione del privato al procedimento amministrativo.

Ma di ciò si dirà in seguito.

La straordinaria gestione dell’impresa costituisce una delle due possibili richieste che il Presidente dell’Anac può proporre di adottare al Prefetto; la scelta deve essere alternativa, ragion per cui il Presidente dell’Anac in relazione alle proprie valutazioni deve proporre o l’una o l’altra.

Intimazione di rinnovazione degli organi sociali //  Straordinaria e temporanea gestione dell’impresa (art. 32, c. 2)

Procedimento d’ufficio del Prefetto

Il secondo comma dell’art. 32 consente al Prefetto di procedere d’ufficio, vale a dire anche prescindendo dalla proposta del Presidente dell’Anac, valutando egli stesso se intimare all’impresa di provvedere al rinnovo degli organi sociali sostituendo il soggetto coinvolto nelle indagini.

La procedura prevista dal secondo comma, tuttavia, non consente al Prefetto di disporre immediatamente la straordinaria e temporanea gestione dell’impresa, la quale potrà essere disposta solo nell’ipotesi in cui l’impresa non ottemperi all’intimazione del termine di 30 giorni ovvero, nei casi più gravi, non provveda nei 10 giorni successivi all’intimazione.

Il secondo comma attribuisce, pertanto, al Prefetto un potere meno incisivo sui diritti dell’imprenditore in quanto la straordinaria e temporanea gestione dell’impresa è configurata esclusivamente quale sanzione per l’inottemperanza all’intimazione prefettizia di provvedere al rinnovo degli organi sociali.

Il Prefetto, gode infine di un ulteriore potere in cui i rapporti con il Presidente dell’Anac vengono ad essere ribaltati.

Nell’ipotesi in cui venga emanata una informativa antimafia interdittiva, la cui competenza è attribuita in via esclusiva al Prefetto, questi, al fine di assicurare l’esecuzione del contratto, nonché per salvaguardare i livelli occupazionali o l’integrità dei bilanci pubblici, può disporre una delle tre misure previste dall’art. 32 (tutte, nessuna esclusa, quindi: tutoraggio, intimazione a rinnovare gli organi sociali e, infine, straordinaria e temporanea gestione dell’impresa) ed in tal caso, come recita il comma 10 esse “sono disposte di propria iniziativa del Prefetto che ne informa il Presidente dell’Anac”.

Quindi, in tale ipotesi, si da luogo ad un autonomo procedimento amministrativo di competenza del Prefetto che segue quello già conclusosi e che ha condotto all’emanazione dell’informativa antimafia interdittiva; in questo caso dell’emanazione del provvedimento viene solo data notizia al Presidente dell’Anac senza che quest’ultimo debba intervenire nel procedimento.

Imprese che esercitano attività sanitaria.

In queste fattispecie nei procedimenti sopra delineati si inserisce un ulteriore passaggio: Il provvedimento prefettizio di cui al comma 2 (intimazione al rinnovo degli organi sociali) è emanato d’intesa con il Ministero della Salute al pari di quando deve essere emessa una misura post informativa antimafia interdittiva.

Il legislatore nulla dice per l’applicazione del procedimento di cui al comma 1 e, in particolare, cosa accade quando il Presidente dell’Anac richiede al Prefetto di provvedere direttamente alla straordinaria gestione dell’impresa che eserciti attività sanitaria per conto del servizio sanitario nazionale. Ragioni sistematiche e la necessità di scegliere i commissari tra soggetti “in possesso di curricula che evidenzino qualificate e comprovate professionalità ed esperienze di gestione sanitaria” depongono per una interpretazione la quale preveda, anche in questo caso, l’intesa con il Ministero della Salute.

Per concludere sul punto l’art. 32 disciplina quattro distinti procedimenti e nell’ordine:

comma 1, procedimento rimesso all’iniziativa del Presidente dell’Anac il quale formula una proposta al Prefetto il quale alternativamente può richiedere:

a) di ordinare la rinnovazione degli organi sociali;

b) di provvedere direttamente alla nomina dei commissari;

la nomina dei commissari può conseguire, senza ulteriore nuova proposta, anche nel caso di inottemperanza dell’impresa all’ordine prefettizio di rinnovare gli organi sociali;

comma 2, procedimento rimesso esclusivamente all’iniziativa del Prefetto il quale può unicamente:

  1. intimare all’impresa di provvedere al rinnovo degli organi sociali entro 30 ovvero -nei casi più gravi- 10 giorni;

il commissariamento dell’impresa consegue, quale sanzione, similmente a quanto previsto al comma 1, lettera a, seconda parte, nel caso di inottemperanza dell’impresa all’intimazione di provvedere al rinnovo degli organi sociali;

comma 8, procedimento rimesso esclusivamente all’iniziativa del Prefetto il quale può disporre la misura di sostegno e monitoraggio all’impresa qualora le indagini riguardino componenti gli organi societari diversi da quelli gestori.

comma 10, una procedimento rimesso esclusivamente all’iniziativa del Prefetto che abbia emanato informativa antimafia interdittiva.

In materia sanitaria, in tali procedimenti, si inserisce l’intesa con il Ministero della Salute.

§ 4 la partecipazione del privato

L’art. 7 della legge sul procedimento amministrativo, com’è noto, prevede che “Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento stesso è comunicato, … ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti” in modo che questi, ai sensi dell’art. 9, possa intervenirvi ed esercitare il diritto di prendere visione degli atti del procedimento (se non coperti da segreto) e comunque “di presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento”.

Le seconde linee guida e la successiva prassi delle prefetture riconoscono il diritto di partecipazione al procedimento seppure tendano a limitarlo alla sola presentazione di osservazioni e senza fornire tutti gli elementi di cui all’art. 8 della legge sul procedimento amministrativo ed in particolare senza indicare “l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti”, tradendo una eccessiva propensione alla riservatezza se non addirittura alla segretezza dell’azione amministrativa.

Le linee guida prevedono che, quanto ai procedimenti di competenza del Prefetto “l'impresa interessata è legittimata ad esercitare, nell'ambito di esso, esclusivamente gli strumenti di partecipazione previsti dagli artt, 7, 8 e 10 della legge n. 241/1990 e non a chiedere l'avvio del procedimento stesso” confermandone la natura ufficiosa e discrezionale.

Le stesse linee guida prevedono che “l'attivazione del potere di proposta da parte del Presidente dell'ANAC si è conformata ai principi generali che governano l'azione amministrativa assicurando la partecipazione al procedimento da parte degli interessati , attraverso gli istituti previsti dagli artt, 7, 8 e 10 della legge n. 241/1990.”

Non risulta che l’Anac abbia emanato un regolamento che disciplini in via generale la partecipazione ai procedimenti di propria competenza ovvero un regolamento specifico per la partecipazione del privato al procedimento, né infine che sia stato emanato il regolamento ex art. 32 D.L. n. 90/2014 che individua le categorie di documenti sottratti all’accesso.

Per quanto si è potuto rinvenire nel sito dell’Anac, l’unica norma regolamentare emanata in materia è l’art. 4 del “Regolamento in materia di attività di vigilanza e di accertamenti ispettivi” il quale disciplina la cosiddetta “vigilanza collaborativa” che le stazioni appaltanti possono richiedere all’Anac nel caso in cui l’autorità giudiziaria “proceda per i delitti di cui all’art. 32 comma 1 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114, ovvero, in  presenza  di rilevate situazioni  anomale  e,  comunque,  sintomatiche  di  condotte illecite o eventi criminali

Pur tuttavia ammesso in astratto e praticato (a volte) in concreto, l’onere della comunicazione dell’avvio del procedimento non può essere applicato a metà dando comunicazione dell’avvio del procedimento senza consentire l’accesso ai documenti (non segreti o riservati), senza assegnare un congruo spatium temporis per la consultazione della documentazione e la presentazione di memorie e documenti e, infine, senza dare contezza nel provvedimento conclusivo del procedimento delle ragioni di dissenso o meno o della ininfluenza degli elementi valutativi apportati dal privato.

Sempre le seconde linee guida, quanto al procedimento di cui al comma 10, prescrivono che “in tutte le ipotesi in cui, a seguito del rilascio dell'interdittiva, il Prefetto valuti la sussistenza di un fumus in ordine al ricorrere di condizioni per l'esercizio del potere di commissariamento, procederà a convocare d' ufficio – ai sensi dell'art. 14, comma 3, della legge n. 241/1990, dandone preventiva comunicazione all'operatore economico interessato a norma dell'art.7 della medesima legge – un'apposita conferenza dei servizi alla quale dovranno essere chiamati a partecipare, oltre a rappresentanti della stazione appaltante, anche funzionari” delle Amministrazioni che possano avere attribuzioni specifiche in relazione al singolo contratto d’appalto.

Appare significativa, quale “segno dei tempi”, la circostanza che le linee guida tendono ad ampliare le attribuzioni dell’Anac a discapito di competenze tipicamente prefettizie ed infatti le linee guida, pur prevedendo che “anche sulla base delle deduzioni presentate dall’impresa” “il Prefetto potrà definire il procedimento disponendo la misura – tra quelle indicate dall'art. 32, comma l, letto a) e b) e comma 8, del decreto legge n. 90/2014 – ritenuta maggiormente idonea ad assicurare il soddisfacimento di almeno una delle sopra indicate finalità” proseguono stabilendo che “Anche in relazione a tale fase procedimentale, appare opportuno richiamare la necessità di un tempestivo coinvolgimento e raccordo con l'ANAC – in attuazione 15 dell'articolo 92, comma 2-bis, del codice antimafia, novellato dal decreto legislativo 153/2014[7]”. Tuttavia la novella di cui al D.Lvo 153/2014, individua il Prefetto quale unica autorità competente ad ogni valutazione circa l’applicazione delle misure di cui all’art. 32, comma 10, e solo nel caso di applicazione delle stesse la tempestiva informazione del Presidente dell’Anac, ma nessun raccordo o concordamento.

Sembra evidente che il “coinvolgimento” dell’Anac nella fase procedimentale costituisca, per questo specifico procedimento, un aggravio vietato dalla L. 241/1990.

In definitiva appare convincimento condiviso del Ministero dell’Interno e dell’Anac (seppure non costantemente e pienamente praticato) che nei procedimenti di cui all’art. 32 D. L.  n. 90/2014 non sussiste alcuna esigenza di intrinseca riservatezza ed urgenza paragonabile ai procedimenti relativi alle informative prefettizie antimafia tale da escludere i diritti partecipativi dei privati che, anzi, le linee guida indicano come auspicabili e legittimi in ogni fase procedimentale.

§ 5  esiti

L'intervento del potere pubblico nei confronti dell'organizzazione e dell'attività degli operatori economici privati, qualificato di per sé come straordinario, è perciò stesso necessariamente limitato temporalmente, così da non ledere più del necessario il principio costituzionale dell'autonomia d'impresa:

  • l’ordine di rinnovare gli organi sociali deve essere eseguito entro 10 o 30 giorni;
  • l’attività di gestione dell’impresa è espressamente “temporanea”
  • il tutorato è, anch’esso, una misura straordinaria e temporanea.

Quando cessano gli effetti di tali provvedimenti ?

Esiste un fascio di eventi estintivi degli effetti dei provvedimenti sopra partitamente elencati.

L’ordine di rinnovare gli organi sociali è provvedimento amministrativo ad effetti istantanei il quale obbliga la società a rinnovare gli organi “sospetti”, specificatamente indicati nell’ordine, mediante la sostituzione del o dei soggetti, anch’essi espressamente indicati; il provvedimento cessa di avere effetti con lo spirare del termine finale in esso previsto (10 o 30 giorni) per cui, qualora la società si conformi alle disposizioni dell’amministrazione nulla quaestio, viceversa, l’inottemperanza all’ordine determina il commissariamento dell’impresa.

Il rimedio della misura di sostegno e monitoraggio cessa a seguito dell’adeguamento dell’impresa all’indicazione degli esperti.

Il dato è testuale: “Le stesse misure sono revocate e cessano comunque di produrre effetti … anche a seguito dell’adeguamento dell’impresa alle indicazioni degli esperti” (art. 32, comma 10, 2° periodo)

Qui è necessario chiarire chi accerta tale adempimento e se la cessazione degli effetti è di carattere costitutivo o meramente dichiarativo.

Per sciogliere tale nodo è preliminarmente indispensabile tenere in considerazione che “l’attività di temporanea e straordinaria gestione dell’impresa è considerata di pubblica utilità ad ogni effetto e gli amministratori rispondono delle eventuali diseconomie dei risultati solo nei casi di dolo o colpa grave”.

Sembra evidente che gli amministratori sono organi pubblici straordinari funzionalmente inseriti nell’organizzazione del Ministero dell’Interno che li ha nominati e che, tramite i prefetti, esercita un’attività di vigilanza e controllo sui medesimi.

Per ragioni sistematiche anche gli esperti cui è affidato il tutoraggio debbono ritenersi anch’essi organi straordinari del Ministero dell’Interno che li nomina tramite i Prefetti.

A mo’ di corollario ne dovrebbe derivare che l’accertamento tecnico in ordine all’intervenuto adeguamento alle indicazioni degli esperti debba essere compiuto da questi ultimi implicando delle valutazioni di merito e delle competenze settoriali che sono quelle identiche che hanno determinato la scelta dell’ “esperto”[8].

Quanto alla natura dichiarativa o costitutiva del provvedimento che prende atto dell’intervenuto adeguamento, l’interpretazione più aderente al dato testuale è quella che vuole l’indispensabile emanazione di un provvedimento formale da parte del Prefetto che “revochi” la misura di sostegno e monitoraggio all’impresa, il quale, tuttavia, dovrebbe avere natura non costitutiva ma meramente dichiarativa di un effetto verificatosi al momento in cui gli esperti hanno accertato l’adeguamento alle indicazioni dai medesimi fornite.

La diretta gestione dell’impresa cessa, viceversa, con la completa esecuzione del contratto di appalto (dell’accordo contrattuale o della concessione) (art. 32, comma 1, lett b) dovendosi ritenere il collaudo dell’opera il limite temporale estremo di efficacia della misura del commissariamento.

Il comma 5 prevede, poi, che “le misure di cui al comma 2” cessano comunque di produrre effetti in caso di confisca, sequestro o amministrazione giudiziaria nell’ambito di procedimenti penali o di misure di prevenzione.

Questa disposizione è mal scritta perché, in primo luogo, non stabilisce cosa accade agli esperti nominati ai sensi del comma 8 anche se, per la preminenza che l’ordinamento riconosce alle iniziative dell’autorità giudiziaria penale, è facile immaginare che i provvedimenti di confisca, di sequestro o l’amministrazione giudiziaria consentono all’autorità giudiziaria penale di spazzare via ogni precedente amministratore o tutore.

Ma cosa significa che le misure di cui al comma 2 cessano nel caso in cui venga disposta “l’archiviazione del procedimento” ? L’archiviazione del procedimento penale, semplicemente, dimostra la mancanza di quegli elementi oggettivi di responsabilità degli amministratori e ancora che il “giudizio prognostico di responsabilità nei confronti della governante d'impresa per condotte criminali” era privo di fondamento.

Emerge, però, una antinomia:

il comma 1 dell’art. 32 prevede due ipotesi alternative:

quella in cui l’Autorità penale proceda per i delitti di cui agli artt. 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 346 bis, 353 e 353-bis del codice penale (quelli stessi per i quali il P. M. deve informare l’Autorità)

quella in cui vengano “rilevate” situazioni anomale o sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali (che è cosa diversa di quando venga emanata una imputazione);

le misure prefettizie ex comma 2 cessano quando è disposta l’archiviazione (prima alternativa) perché è venuto meno il presupposto ma non dovrebbero cessare quando l’Anac ha rilevato situazioni anomale o sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali che non hanno dato luogo ad alcuna imputazione.

Una peculiare ragione estintiva dei provvedimenti di gestione straordinaria dell’impresa è prevista dal comma 10 a dimostrazione della stretta correlazione tra l’informativa antimafia interdittiva e la misura adottata dal prefetto (analoga alla correlazione tra imputazione ed archiviazione per i reati più volte elencati); qualora l’informativa interdittiva venga annullata in sede giurisdizionale ovvero sospesa in via definitiva (cioè con ordinanza cautelare di primo grado non appellata ovvero con ordinanza del giudice d’appello) ovvero ancora qualora l’informativa venga positivamente aggiornata, la misura adottata cessa anch’essa; tuttavia, la medesima esaurisce i propri effetti solo a seguito di un decreto prefettizio che espressamente ciò dichiari in quanto gli eventi estintivi riguardano provvedimento amministrativo (l’interdittiva) diverso da quello (la misura) di cui deve dichiararsi la revoca.

Ovviamente, la fattispecie sopra tratteggiata è quella in cui il giudice amministrativo annulli o sospenda in via definitiva solo l’interdittiva antimafia in quanto che, qualora venga annullato o sospeso il provvedimento che ha disposto la misura di gestione o monitoraggio dell’impresa gli effetti sarebbero quelli tipici derivanti dal provvedimento giurisdizionale.

 


[1] Così rinominata la precedente Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza (ANAC), istituita con l'art. 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.

 

 

 

 

[2]Corruption Perceptions Index 2015 di Transparency International,

[3] Così si esprime la norma.

[4] Tuttavia tale  misura è stata adottata per la prima volta dall'ANAC con la proposta di applicazione della misura del sostegno e del monitoraggio nei confronti della Italiana Costruzioni S.p.a., con riferimento al contratto di appalto dei lavori di realizzazione del « Padiglione Italia » (Lettera del Presidente ANAC, 1 aprile 2015; Provvedimento Prefetto di Milano, 3 aprile 2015) nonostante fossero state accertate condotte degli offerenti volte a turbare l'esito della gara, considerate non tali da influenzare la validità dell'aggiudicazione ma reputando comunque necessario disporre l'attivazione di misure preordinate a scongiurare il rischio di ulteriori infiltrazioni criminali.

[5] La questione è vecchia di millenni, lo Stato (anche il più minuto in cui tutti sanno di tutti) ha bisogno dei sicofanti ma poiché “chi è senza peccato scagli la prima pietra” gli stessi sono malvisti dall’ambiente sociale.

[6]L’uso dell’inglese consente di non prendere posizione ma, in vero, si tratta di due distinti procedimenti rimessi ad Autorità diverse.

[7] L'informazione antimafia interdittiva è comunicata dal prefetto, entro cinque giorni dalla sua adozione, all'impresa, società o associazione interessata, secondo le modalità previste dall'articolo 79, comma 5-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Il prefetto, adottata l'informazione antimafia interdittiva, verifica altresì la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle misure di cui all'articolo 32, comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, e, in caso positivo, ne informa tempestivamente il Presidente dell'Autorità' nazionale anticorruzione

[8] Il recente decreto del Prefetto di Milano del 3 marzo 2016 di revoca del precedente decreto di nomina del tutor applica tali principi.

 

 

 

 


[i] * Nicolò D’Alessandro – avvocato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

12 Maggio 2016 | By More

INFORMATIVA ANTIMAFIA – Il Tar si ferma innanzi alle valutazioni del prefetto – Il C.G.A. annulla l’interdittiva per difetto di istruttoria e di motivazione – Ruolo crescente dell’istruttoria del giudice – TAR Palermo 26.3.2014 E C.G.A. 2.10.2015

C.G.A. 2.10.2015 n. 627, sentenza, pres. Lipari, est. Barone (previa istruttoria con ord. C.G.A. 25.02.2015 n. 141, pres. Lipari, est. Barone, annulla Tar Palermo, 26.3.2014, n. 892, sentenza, pres. D’Agostino, est. Cappellano).

1. Ordine pubblico e sicurezza pubblica – Informativa antimafia – Rilevanza dei rapporti parentali – Concorrenza di altre circostanze – Necessità.

2. Ordine pubblico e sicurezza pubblica – Informativa antimafia – Discrezionalità del prefetto – Controllo giurisdizionale – Impatto del provvedimento su diritti fondamentali  – Necessità di un punto di equilibrio.

1. E’ insufficiente a giustificare l’interdittiva il semplice il rapporto di parentela tra il ricorrente ed altri soggetti ritenuti controindicati, senza che vengano indicate altre circostanze, quali una forma di cointeressenza, di comunanza di interessi, di frequentazione o comunque di contiguità, che, unendosi agli indicati rapporti di parentela, possano in concreto far dubitare di possibili condizionamenti mafiosi.

2. I provvedimenti considerati, che seguono a procedimenti privi delle garanzie del processo penale, limitano libertà altrettanto importanti della libertà personale quali il diritto al lavoro, inteso come libertà di scegliere il lavoro cui dedicarsi e ciò tanto nei confronti di chi ha inteso lavorare con le modalità dell’impresa quanto di chi all’interno dell’impresa svolge il proprio lavoro in forma subordinata. I provvedimenti interdittivi impattano quindi con diritti fondamentali che spettano a tutti, in quanto uomini, senza distinzione alcuna e producono a volte effetti devastanti di gran lunga più gravi delle sentenze penali. Se quindi da un lato va valorizzato il potere di prevenire, o troncare se già in corso, tentativi di infiltrazione mafiosa nel settore dell’imprenditoria (per arginare la grave piaga della delinquenza organizzata) dall’altro è necessaria la ricerca di un prudente punto di equilibrio per non svuotare di contenuto diritti ritenuti dalla stessa giurisprudenza amministrativa inalienabili, insopprimibili e incomprimibili.

______________

Nota

1. Sulla rilevanza dei rapporti parentali nella valutazione del rischio di condizionamento mafioso il Tar ha condiviso il punto di vista della Prefettura, tra l’altro perché parte ricorrente tenta di revocare in dubbio la natura di affiliato del genitore dell’attuale amministratore unico, sostenendo che non vi sarebbero elementi, per fare dichiarare alla Prefettura che detto soggetto sarebbe da ritenere “affiliato alla locale consorteria mafiosa denominata “Code Piatte”; ma la stretta contiguità al contesto mafioso dei parenti menzionati (zio e padre del predetto) risulta dagli atti processuali prodotti dalla p.a. (v. ordinanza di custodia cautelare n. 3950/2007 relativa all’operazione di polizia denominata “Kaos”).

Il CGA ha invece rilevato che anche con riferimento a tali circostanze l’unico elemento prospettato dall’Amministrazione è il rapporto di parentela tra il ricorrente ed altri soggetti ritenuti controindicati, senza che vengano indicate altre circostanze, quali una forma di cointeressenza, di comunanza di interessi, di frequentazione o comunque di contiguità, che, unendosi agli indicati rapporti di parentela, possano in concreto far dubitare di possibili condizionamenti mafiosi.

Del resto – prosegue il C.G.A. – un filone giurisprudenziale oggi prevalente, dal quale il Consiglio non ha ragione di dissentire, proprio con riferimento alla sussistenza di rapporti di parentela, coniugio o affinità con soggetti ritenuti in possibile contiguità con la malavita organizzata, ha ritenuto che la sussistenza di tali rapporti “non è sufficiente da sola a suffragare l’ipotesi della sussistenza di tentativi d’infiltrazione mafiosa, dovendosi quest’ultima basarsi, anche su altri elementi, sia pure indiziari, tali nel loro complesso da fornire obiettivo fondamento al giudizio di possibilità che l’attività di impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata…” (Cons. Stato, sez. III, 18.1.2013,n. 280 e già prima sez. III 23.2.2012 n. 1068; 12.11.2011 n. 5995 e 14.9.2011 n.5130).

2. Anche sul controllo delle valutazioni prefettizie le posizioni sono contrapposte.

Il Tar ha ritenuto che le valutazioni del Prefetto sulla rilevanza dei rapporti parentali fossero immuni da vizi, evidenziando che la contestazione del ricorrente, definita “labiale”, non tiene conto del fatto che, alle spalle accertamenti dell’amministrazione, c’è il lavoro di controllo capillare e costante del territorio, e di profonda conoscenza dello stesso, da parte delle Forze dell’Ordine.

Il C.G.A. sul punto ritiene invece che quelle valutazioni non siano indiscutibili. Prima dispone apposita istruttoria e, all’esito, annulla per difetto di istruttoria e di motivazione perché l’ampiezza dei poteri prefettizi di accertamento, che il Collegio ritiene quanto mai opportuna, non equivale ad assoluta libertà di valutare i fatti accertati, il cui apprezzamento deve essere esternato in termini di coerenza, senza salti logici o supposizioni non supportate da precise circostanze. Non bisogna trascurare che i provvedimenti considerati, che seguono a procedimenti privi delle garanzie del processo penale, limitano libertà altrettanto importanti della libertà personale quali il diritto al lavoro, inteso come libertà di scegliere il lavoro cui dedicarsi e ciò tanto nei confronti di chi ha inteso lavorare con le modalità dell’impresa quanto di chi all’interno dell’impresa svolge il proprio lavoro in forma subordinata. I provvedimenti interdittivi impattano quindi con diritti fondamentali che spettano a tutti, in quanto uomini, senza distinzione alcuna e producono a volte effetti devastanti di gran lunga più gravi delle sentenze penali. Se quindi da un lato va valorizzato il potere di prevenire, o troncare se già in corso, tentativi di infiltrazione mafiosa nel settore dell’imprenditoria (per arginare la grave piaga della delinquenza organizzata) dall’altro è necessaria la ricerca di un prudente punto di equilibrio per non svuotare di contenuto diritti ritenuti dalla stessa giurisprudenza amministrativa inalienabili, insopprimibili e incomprimibili. Applicando al caso all’esame del Collegio i suddetti principi era necessario che l’Amministrazione non supponesse o ipotizzasse il pericolo d’infiltrazione mafiosa oltre i dati accertati, ma procedesse ad oggettivi riscontri dell’asserito pericolo e restasse aderente ai medesimi (v. ancora sez. III, 280/13), mentre ha centrato le sue valutazioni sui rapporti di parentela, mentre l’unico elemento oggettivo utilizzato, la posizione del sig. S.A., è risultato inconsistente.

20-2015.10.02-n.-627-CGA-sent.

20-2015.02.25-n.-141-CGA-ord.-istr.

20-2014.03.26-n.-892-Tar-PA-sent.

12 Maggio 2016 | By More

INFORMATIVA ANTIMAFIA – RAPPORTI PARENTALI E RAPPORTI SOCIETARI – Fattispecie (ord. Tar Catania, IV, 26.5.2015, n. 514, confermata da C.G.A. 4.9.2015, n. 547)

Tar Catania, IV, 26.05.2015, n. 514, ord. pres. Pennetti, est. Savasta (confermata da C.G.A. 4.9.2015, n. 547, ord., pres. Lipari, est. Mineo).

Ordine pubblico  e sicurezza pubblica – Informativa antimafia – Rapporti parentali – Utilizzo transitorio di manodopera ed mezzo di lavoro – Irrilevanza.

Non sono di per sè indice di pericolo di condizionamento mafioso nè l’utilizzo transitorio di manodopera e di un mezzo di lavoro consentito da un fratello nè la semplice compartecipazione in una società in  presenza di particolari modalità.

________

Nota

Il Tar ha accolto la domanda cautelare:

  • ritenuto che proprio il rapporto di parentela tra i due fratelli (e, quindi, la mancata instaurazione di un rapporto tra “estranei”) può giustificare l’utilizzo transitorio (e per periodi diversi) di manodopera e di un escavatore;
  • ritenuto che la compartecipazione in società terza, con le modalità descritte in ricorso e non smentite dall’Amministrazione, non sembra dirimente per stabilire la sussistenza di un collegamento tra le due ditte;
  • ritenuto, infine, che non può essere condiviso quanto affermato dall’Amministrazione circa la valenza dell’autorizzazione da parte del competente Giudice nei confronti dell’Amministratore giudiziario della Ditta G. S. di avvalersi della Ditta del ricorrente, poiché vero è che tale valutazione presuppone la mancata conoscenza dell’interdittiva antimafia da parte del giudice, ma tale circostanza avrebbe potuto essere significativa ove il provvedimento fosse stato adottato senza la conoscenza della collusione della Ditta G. S. con la mafia, in considerazione, per altro, delle altre ragioni, ad avviso del Collegio, insufficienti, per come sopra chiarito, a determinare il collegamento tra le due ditte.

Il C.G.A. ha confermato la decisione di primo grado ritenuto che allo stato non si manifestano motivi che possono giustificare di discostarsi dall’assetto cautelare deciso in prime cure.

12 Maggio 2016 | By More

INFORMATIVA ANTIMAFIA – IL PARENTE DECEDUTO E QUELLO SCAGIONATO – Decisioni contrastanti (senza istruttoria) – C.G.A. 29.5.2013

C.G.A. 29.5.2013 n. 499, sentenza, pres. Virgilio, est. Neri (annulla Tar Palermo del 14 marzo 2012, n. 555, sentenza, pres. D’Agostino, est. Tulumello).

1. Ordine pubblico e sicurezza pubblica – Informativa antimafia – Rilevanza dei rapporti parentali – Parente mafioso deceduto

2. Ordine pubblico e sicurezza pubblica – Informativa antimafia – Parente scagionato dall’accusa di stampo mafioso

3. Ordine pubblico e sicurezza pubblica – Informativa antimafia – Socio di minoranza con parente condannato per reati comuni.

4. Ordine pubblico e sicurezza pubblica – Informativa antimafia – Denuncia di atti intimidatori – Rilevanza – Necessità di valutazione complessiva.

5. Ordine pubblico e sicurezza pubblica– Informativa antimafia – Rischi di infiltrazione mafiosa – Requisito dell’attualità.

1. Il richiamo contenuto nell’interdittiva ad un parente condannato per associazione per delinquere di stampo mafioso e deceduto per cause naturali nel 2005, non valeva a connotare il «modus vivendi» dei soci ma a rendere chiara l’esistenza sullo sfondo di un possibile – non necessariamente per legge certo – contatto tra i soci e l’ambiente criminale.

2. Sotto altro aspetto il legame con «persone successivamente scagionate» – quali il Gamma 1, condannato per alcuni reati, ma inequivocabilmente assolto in un procedimento per mafia e coinvolto in altro procedimento poi archiviato – evidenzia l’esistenza di un concreto pericolo che per il suo tramite si realizzino tentativi di infiltrazione mafiosa.

3. E’ legittima l’interdittiva emanata in considerazione anche della presenza nella società appellata di soci, seppure con partecipazioni di tipo minoritario, legati da vincoli di parentela a persone vicine ad ambienti criminali (lo dimostrano le condanne per ricettazione, nonché per detenzione e porto abusivo di armi irrogate a Gamma 1 oltre che la misura di prevenzione da questi riportata)

4. In relazione alla circostanza relativa alla denuncia sporta per gli atti di intimidazione subiti – che nella tesi della società appellata sarebbero incompatibili con la regola di omertà che contraddistingue l’universo mafioso – va rilevato che a tale elemento non può attribuirsi tout-court carattere prevalente sugli altri elementi emersi perché, come affermato dalla giurisprudenza, la valutazione deve essere globale e non frazionata e perché appartiene alla lata valutazione discrezionale (censurabile solo per manifesta illogicità, irrazionalità o irragionevolezza che, nel caso di specie, non ricorre) dare valore preponderante agli elementi contrari o a favore dell’infiltrazione.

5. Per legge non è necessario che l’infiltrazione mafiosa sia in atto, ma è sufficiente il tentativo, con esposizione al condizionamento delle scelte e degli indirizzi societari (Cons. St., VI, 5 marzo 2012 n. 1240); per l’adozione dell’atto è bastevole la mera possibilità di interferenze della criminalità rivelate da fatti sintomatici o indiziari (Cons. St., III, 23 luglio 2012 n. 4208).

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Nota

Le due sentenze nella medesima vicenda processuale pervengono a conclusioni contrapposte l’una negando e l’altra affermando la legittimità dell’interdittiva prefettizia antimafia, in presenza di parente mafioso ma deceduto, di legami con persone successivamente scagionate, di socio con condanne per reati comuni (ricettazione, detenzione e porto abusivo di armi) e con misura di prevenzione.

C.G.A. n. 499/2013 ha argomentato nel modo seguente (n.b.: il termine “Gamma” sostituisce il cognome dei parenti coinvolti).

1. “Giova al riguardo premettere che il TAR ha così deciso sul punto: «… La materia del contendere concerne la legittimità dell’informativa antimafia con cui la Prefettura di Agrigento ha valutato esistenti pericoli di infiltrazione della criminalità organizzata nella società ricorrente. Detto giudizio prognostico, come ribadito anche a seguito dell’istruttoria disposta dal collegio, è stato formulato – peraltro in modo generico – unicamente sulla base di legami di natura parentale fra alcune persone operanti nella società, e soggetti appartenenti alla criminalità organizzata. Come già chiarito dalla Sezione in sede di motivazione dell’ordinanza cautelare, “gli elementi valutati in chiave inferenziale attengono in realtà a circostanze non attuali e superate da provvedimenti giudiziari di archiviazione o di proscioglimento”. Non soltanto l’amministrazione ha fondato il proprio giudizio sulla base esclusivamente di legami parentali, in assenza di circostanze che qualificano il rapporto di parentela, quali, soprattutto, l’intensità del vincolo e il contesto in cui si inserisce, e facendo addirittura riferimento ad un modus vivendi che immancabilmente discenderebbe dal vincolo parentale: il che – per un consolidato indirizzo giurisprudenziale – non è sufficiente ad escludere un’impresa dal circuito dell’economia legale in quanto ragionevolmente sospettabile di essere a rischio di infiltrazioni di tipo mafioso (ex multis, Consiglio Stato, sez. VI, 20 gennaio 2009, n. 268); ma quegli elementi attengono a posizioni di persone successivamente scagionate in sede giudiziaria da ogni accusa, o decedute (il che priva di rilevanza anche il più labile – e non autosufficiente – collegamento logico fra costoro e gli attuali responsabili della società) …»”.

2. Ed invece, “a differenza di quanto sostenuto dal TAR, l’amministrazione ha fatto buon uso delle regole in materia perché i «legami parentali» non sono stati richiamati per descrivere un «modus vivendi» che immancabilmente discenderebbe dal vincolo parentale ma per manifestare l’esistenza di un contatto con ambienti che potrebbero realizzare un tentativo di infiltrazione all’interno della società. In tale prospettiva il riferimento a Gamma 3, condannato per associazione per delinquere di stampo mafioso e deceduto per cause naturali nel 2005, non valeva a connotare il «modus vivendi» dei soci ma a rendere chiara l’esistenza sullo sfondo di un possibile – non necessariamente per legge certo – contatto tra i soci dell’odierna appellata e l’ambiente criminale. Sotto altro aspetto il legame con «persone successivamente scagionate» – quali il Gamma 1, condannato per alcuni reati, ma inequivocabilmente assolto in un procedimento per mafia e coinvolto in altro procedimento poi archiviato – evidenzia l’esistenza di un concreto pericolo che per il suo tramite si realizzino tentativi di infiltrazione mafiosa. Per legge, come è noto, non è necessario che l’infiltrazione mafiosa sia in atto, ma è sufficiente il tentativo, con esposizione al condizionamento delle scelte e degli indirizzi societari (Cons. St., VI, 5 marzo 2012 n. 1240); per l’adozione dell’atto è bastevole la mera possibilità di interferenze della criminalità rivelate da fatti sintomatici o indiziari (Cons. St., III, 23 luglio 2012 n. 4208)”. “In altri termini”, secondo il CGA, “la presenza nella società appellata di soci, seppure con partecipazioni di tipo minoritario, legati da vincoli di parentela a persone vicine ad ambienti criminali (lo dimostrano le condanne per ricettazione, nonché per detenzione e porto abusivo di armi irrogate a Gamma 1 oltre che la misura di prevenzione da questi riportata) o legati da vincoli di sangue con persone condannate per mafia, seppure ormai decedute (Gamma 3), sono elementi che l’amministrazione ha valutato – con giudizio non irragionevole e non illogico – come sufficienti per ritenere accertato il tentativo di infiltrazione mafiosa che, come detto, è circostanza diversa dalla vera e propria prova dell’infiltrazione mafiosa. Inoltre, come affermato dalla giurisprudenza, appunto, l’informativa antimafia prescinde dall’accertamento della rilevanza penale dei fatti, in quanto non mira all’enucleazione di responsabilità, ma si concretizza come la forma di massima anticipazione dell’azione di prevenzione, inerente alla funzione di polizia e di sicurezza, rispetto alla quale assumono rilievo fatti e vicende solo sintomatici ed indiziari; di conseguenza il provvedimento emesso o da emettere in sede penale e quello amministrativo si collocano su differenti ed autonomi piani nel senso che l’informativa, se emessa ai sensi dell’art. 10 comma 7 lett. c), d.P.R. 3 giugno 1998 n. 252, prescinde completamente da ogni provvedimento penale a carico degli appartenenti all’impresa (sia pure di carattere preventivo o anche assolutorio) e si giustifica considerando il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, che non deve essere immaginario, ma neppure provato, purché sia fondato su elementi presuntivi e indiziari, la cui valutazione è rimessa alla lata discrezionalità del prefetto, sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della illogicità, incoerenza o inattendibilità (Cons. St., III, 27 settembre 2012 n. 5117)”.

2. Inoltre, secondo il C.G.A., “l’ulteriore argomentazione relativa ad una partecipazione minoritaria dei Gamma nella compagine societaria non è convincente. Basti al riguardo considerare che il pericolo di infiltrazione mafiosa può, a giudizio del Collegio, evincersi anche da partecipazioni minoritarie di soggetti vicini ad ambienti malavitosi perché ciò appare sufficiente per esporre gli altri soci a pericoli di condizionamenti che non necessariamente passano per il confronto e la “misurazione delle rispettive forze” in seno all’assemblea dei soci. Per tale ragione risulta infondato il punto n. 3 della memoria di costituzione con il quale è stato riproposto il secondo motivo di ricorso di primo grado”. 3. Ed ancora, “in relazione alla circostanza relativa alla denuncia sporta per gli atti di intimidazione subiti – che nella tesi della società appellata sarebbero incompatibili con la regola di omertà che contraddistingue l’universo mafioso – va rilevato che a tale elemento non può attribuirsi tout-court carattere prevalente sugli altri elementi emersi perché, come affermato dalla giurisprudenza, la valutazione deve essere globale e non frazionata e perché appartiene alla lata valutazione discrezionale (censurabile solo per manifesta illogicità, irrazionalità o irragionevolezza che, nel caso di specie, non ricorre) dare valore preponderante agli elementi contrari o a favore dell’infiltrazione. In altri termini gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità (Cons. St., III, 23 luglio 2012 n. 4208)”.

4. Infine, sempre secondo il C.G.A., “sotto il profilo dell’esistenza del requisito dell’attualità, a prescindere dal fatto che tale elemento è valutato con larga ampiezza sia dal legislatore sia dalla giurisprudenza, occorre evitare la sovrapposizione tra le indicazioni temporali riportate nell’informativa (data del decesso di Gamma 3, epoca dei procedimenti penali, eventuale data di condanna per un certo fatto di reato) e la circostanza consistente nel fatto che il pericolo dipende non dal momento in cui tali fatti sono avvenuti ma dalla possibilità che la società, in ragione di una porzione di compagine sociale, sia potenzialmente esposta a rischio di condizionamento mafioso. Tale ultimo argomento è sufficiente per ritenere quindi superate le argomentazioni relative ad una nota positiva dei Carabinieri risalente al 2009 o alle precedenti informative non ostative …”.

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